Maurizio Bettazzi, manifesta assoluzione
“Assolto perché il fatto non sussiste” campeggia sui manifesti con cui ha fatto tappezzare la sua Prato: intervista esclusiva a Maurizio Bettazzi
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Maurizio Bettazzi, manifesta assoluzione
“Assolto perché il fatto non sussiste” campeggia sui manifesti con cui ha fatto tappezzare la sua Prato: intervista esclusiva a Maurizio Bettazzi
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“Assolto perché il fatto non sussiste” campeggia sui manifesti con cui ha fatto tappezzare la sua Prato: intervista esclusiva a Maurizio Bettazzi
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“Assolto perché il fatto non sussiste” campeggia sui manifesti con cui ha fatto tappezzare la sua Prato: intervista esclusiva a Maurizio Bettazzi
Scappa persino un sorriso amaro nel notare che per i manifesti con cui ha fatto tappezzare la sua Prato con la scritta «Assolto, perché il fatto non sussiste», fra tutte quelle disponibili Maurizio Bettazzi abbia scelto una foto con gli occhiali da sole. Oggi che tutto è passato, ci sarebbe da scherzarci sopra. La verità è che questa storia non è passata e mai passerà.
Perché le cicatrici della malagiustizia sono segni indelebili nell’animo di chi l’ha vissuta. Quegli sguardi prima giudicanti e poi compassionevoli «di chi da un giorno all’altro ti ha tolto il saluto e ora torna a ricordarsi di te» come dice l’ex presidente del Consiglio comunale della cittadina toscana, in carica dal 2009 al 2013 e poi costretto alle dimissioni subito dopo l’avviso di garanzia («Pur sapendomi innocente, l’ho fatto perché la mia vicenda non venisse strumentalizzata a danno del sindaco e della giunta»).
Non sono i manifesti affissi in città a poter ridare indietro il tempo perduto né riusciranno a restituire i sogni di chi aveva fatto della res pubblica una passione e una missione di vita. «La politica era tutto per me» spiega. «Durante il servizio militare ho servito lo Stato con la divisa di carabiniere. Dopo 40 anni mi sento ancora moralmente legato all’Arma e ai suoi valori. Mai mi sarei potuto macchiare di reati tanto infamanti come la concussione e l’abuso di ufficio». Eppure c’è chi ha dubitato, anche tra le persone più care: «Non sai mai se ti credono fino in fondo oppure no. La certezza la puoi avere solo tu. Il momento più brutto? Quando ho dovuto spiegare ai miei figli, che all’epoca avevano da poco superato i 20 anni, cosa stesse accadendo».
La sua storia sta facendo il giro di giornali e tv ma è lecito chiedersi – pur conoscendo già la risposta – quanta attenzione gli sarebbe stata dedicata in assenza di quei manifesti (10 in tutto, uno per ogni anno di processo). La verità è che, a differenza di altri Paesi, in Italia non esiste ancora alcun antidoto efficace allo spettacolo dell’accusa. Esiste poi un problema di tipo culturale, derivante in parte dalle nostre radici cattoliche, per cui dopo l’errore si pensa più che altro al perdono. E poco male se di mezzo ci sono 10 anni di calunnie e menzogne. «Ancora piango la notte per via della tensione accumulata» confida Bettazzi. «Quello che mi ha fatto più male è l’accanimento dei pm nei miei confronti, in assenza di gravi elementi indiziari». Quando gli chiediamo cosa potrebbe risarcire tanto dolore, non ha dubbi: «Niente, nessuna cifra. Ho troppo rispetto per lo Stato, a cui non voglio chiedere nulla. Se potessi lo chiederei ai pm, quello sì».
di Ilaria Cuzzolin
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