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Migranti, polemiche e inchieste

Gestire i flussi è fondamentale, il problema esiste e non affrontarlo significa caos
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«Se restate a piedi, buttateli a mare». In questa frase c’è il riassunto di ciò che alle volte viene affrontato come un aspetto secondario, nel tanto acceso dibattito sulla questione migranti. Le intercettazioni, che fanno parte di un’indagine partita nel 2019 e condotta dalla Procura di Gela, rendono invece perfettamente la dimensione di come queste vite, quelle di chi paga 3-5mila euro per un viaggio della speranza stipato su imbarcazioni fatiscenti, valgano zero per chi quei viaggi organizza. Gli scafisti che ridono guardando chi aspetta di potersi finalmente imbarcare, dopo aver venduto tutto quello che ha, nel sogno di un futuro migliore. Che spesso non si realizza mai. La forza data solo dalla disperazione da un lato, la possibilità di arricchirsi dall’altro. Un sistema che tante inchieste ci hanno raccontato ma che alle volte sembra finire sullo sfondo. Assorbito dagli scontri politici. Dalle dispute per stabilire dove quelle vite, quelle di coloro che alle traversate sopravvivono, debbano essere accolte. Gestire i flussi è fondamentale, il problema esiste e non affrontarlo significa caos.

È necessario però tornare a raccontare anche tutto quello che c’è dietro. Come la storia di quella mamma che poco tempo fa si è imbarcata con il suo bimbo di 20 giorni, malato. Sperava di arrivare in Italia e curarlo, invece quel piccolino è morto prima di toccare un suolo che doveva essere di salvezza. Sono storie atroci, drammi che si ripetono identici di mese in mese, da anni. Che alle volte neanche fanno notizia. Come fosse assodato che questo stato delle cose non possa essere modificato. Ci sarà sempre chi proverà ad arricchirsi approfittando della disperazione. Con la connivenza, come nel caso di quanto accertato dalla Procura di Gela, spesso delle autorità portuali dei Paesi da cui questi barchini partono. Perché è chiaro che il problema nasce lì, da dove si parte, da dove si chiudono entrambi gli occhi. In Tunisia si faceva finta di niente, ma i motoscafi nel caso di cui abbiamo parlato arrivano dalle coste della Sicilia. E infatti sono stati arrestati anche sette italiani, oltre a undici tunisini.

Facevano avanti e indietro, a bordo i migranti venivano chiamati “agnelli”. Da sacrificare in caso di avaria, da buttare in mare, perché per gli scafisti valevano meno delle sigarette di contrabbando, anche quelle parte del carico. Un peso, perché i soldi tanto venivano intascati prima di imbarcarsi. Non dimentichiamoli, almeno noi, quei migranti che per i criminali valgono zero. Discutiamo di tutto, cerchiamo soluzioni, ma non scordiamoci che sono vite umane.

Di Annalisa Grandi

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