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milano 'ndrangheta

Padel ‘ndrangheta, riciclaggio ed edilizia a Milano

Colpisce come al Comune di Milano, che sta valutando se costituirsi parte civile, sia sfuggita la mano dell’ndrangheta sul padel
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Padel ‘ndrangheta, riciclaggio ed edilizia a Milano

Colpisce come al Comune di Milano, che sta valutando se costituirsi parte civile, sia sfuggita la mano dell’ndrangheta sul padel
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Padel ‘ndrangheta, riciclaggio ed edilizia a Milano

Colpisce come al Comune di Milano, che sta valutando se costituirsi parte civile, sia sfuggita la mano dell’ndrangheta sul padel
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Colpisce come al Comune di Milano, che sta valutando se costituirsi parte civile, sia sfuggita la mano dell’ndrangheta sul padel
Ha fatto molto rumore nelle scorse settimane l’inchiesta che a Milano ha portato a scoprire come la ‘ndrangheta avesse messo gli occhi su quello che indubbiamente è lo sport più di moda del momento: quello del padel. Caratteristica delle ‘ndrine che dalla Calabria si sono trasferite al Nord, in particolare in Lombardia, è stata anche in passato quella di essersi infiltrate nel settore dell’edilizia. Lì dove girano tanti soldi, arrivano anche gli interessi dei boss. Nel caso specifico si è trattato della costruzione di campi da padel su un’area di proprietà del Comune e affidata in concessione. Le aziende che fanno capo al nipote di un boss attivo nella zona fra Corsico e Buccinasco hanno costruito quei campi, da cui per oltre un anno hanno tratto enormi profitti.

Colpisce come al Comune di Milano, che sta valutando se costituirsi parte civile, sia sfuggito quanto stava accadendo. E d’altronde ai concessionari viene lasciata ampia libertà, a patto che effettuino i lavori previsti dalla concessione. Otto campi da padel non sono però proprio invisibili, in più gli appassionati di questo sport raccontano che quello era uno dei centri diventati un must. Anche perché uno dei pochi con numerosi campi a disposizione. Oltre un anno è andata avanti questa storia. E anche quando sono intervenuti i vigili ci sono voluti altri mesi e una indagine della Dia perché si scoprisse che i soldi usati per costruirli erano sporchi. Messi lì da un 39enne nipote di boss, con condanne per spaccio di droga alle spalle e che fra il 2020 e il 2021 ha emesso fatture false per un milione e mezzo di euro.

Certo, ragionare col senno del poi è sempre più facile, però è chiaro che sia venuto a mancare qualche tassello se tutto questo è stato possibile senza che nessuno se ne rendesse conto. Soprattutto perché quell’area è un bene pubblico. Peraltro in una città come Milano già agitata da un certo malcontento per l’aumento del prezzo dei biglietti dei mezzi pubblici, per l’area B, eccetera. Leggere di come sfuggano truffe colossali come questa non può far altro che aumentarlo. E di sicuro questa può essere l’occasione per fare una riflessione su come si possa garantire una maggior sorveglianza su quello che avviene laddove ci sono proprietà comunali affidate a privati. Prevenire, in questo e in molti altri casi, è assai meglio che curare.

di Annalisa Grandi

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