A stabilire che gli indagati siano colpevoli o meno non è il procuratore che presta servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo. Il compito spetta a un tribunale, dopo un processo nel corso del quale gli imputati hanno potuto disporre di una difesa di loro fiducia. Questa fregola di emettere sentenze prima dei processi, diffondendo dati e filmati delle indagini, è in sé negatrice della giustizia e fa da alibi alla lentezza dei procedimenti, che spesso porta alla carcerazione da innocenti e alla libertà da colpevoli.
Finito il consueto pistolotto sul garantismo, che è il solo modo al mondo per potere avere fiducia nella giustizia, resta l’amarezza anche per la sola ipotesi d’accusa, ovvero che la preside e il suo vice della scuola palermitana “Giovanni Falcone” (che le offese sicule a quell’ammirevole e negletto figlio non finiscono mai) abbiano preso e portato via beni alimentari, computer, tablet e altra roba. E lo abbiano fatto da una scuola che si trova in un quartiere popolare non privo di problematicità. E lo abbiano fatto dopo che la preside era stata insignita di onorificenza al merito della Repubblica per il suo impegno antimafia. Tanto più che non sarebbe la prima a sfilare indignata mentre sfila quel che le piace e se lo porta via.
Auguriamo a noi tutti che l’evidenza non sia vera. Ma non si tratta di augurare, semmai di pretendere che i ragazzi del quartiere Zen, come tanti altri di altre periferie, possano disporre di adulti non così adulterati.
Di Gaia Cenol
Immagini del Comando Generale dei Carabinieri
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