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Perché i femminicidi continuano ad aumentare

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Una considerazione preliminare nel trattare il tema dei femminicidi, per quanto possa apparire scontata o banale, s’impone

Femminicidi

Perché i femminicidi continuano ad aumentare

Una considerazione preliminare nel trattare il tema dei femminicidi, per quanto possa apparire scontata o banale, s’impone

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Perché i femminicidi continuano ad aumentare

Una considerazione preliminare nel trattare il tema dei femminicidi, per quanto possa apparire scontata o banale, s’impone

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Una considerazione preliminare nel trattare il tema dei femminicidi, per quanto possa apparire scontata o banale, s’impone. Nonostante il succedersi degli interventi normativi di questi anni, sino alla riforma del 2023 del cosiddetto “Codice Rosso”, gli omicidi di donne consumati quest’anno sono 70 e il conto non si ferma. Si tratta di un fenomeno inarrestabile?

Prima di provare a rispondere a questo interrogativo, è necessario un secondo rilievo. “Femminicidio” è un termine che ha un preciso significato: fatto commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità. Si tratta di elementi specifici che differenziano i femminicidi rispetto alla fattispecie di omicidio doloso. Negarlo o discettare sulla sua sostenibilità giuridica è mera disquisizione accademica: rende opaco ciò che è eclatante.

Il recente omicidio di Pamela Genini è connotato – per quanto emerso – da una spinta distruttiva (oltre 30 coltellate) che appare correlata all’annientamento della vittima in quanto donna. Odiata perché voleva allontanarsi. L’emergere di indici comportamentali che rivelano moventi seriali di questo tipo, impongono di qualificare l’omicidio di una donna in femminicidio. Una categoria a sé. Il raffronto tra l’omicidio di Pamela Genini e quello che, nello scorso aprile, ha visto come vittima Teresa Stabile a Samarate (Varese) – a cui va aggiunto l’agguato di ieri mattina a Milano, in cui una donna di 62 anni è stata accoltellata dall’ex che l’attendeva sotto casa – evidenzia similitudini che impressionano, sia per la dinamica di coppia che nelle modalità.

In entrambi i casi la fine della convivenza risaliva a tempo addietro. Un allontanamento dovuto all’incompatibilità fra la propria condizione di donna, che ambisce alla realizzazione del diritto a cambiare il modo di vivere, e la volontà ottusa dell’uomo. In entrambi i casi la crisi si protraeva da molto. Così come in tutte e due le vicende le criticità connesse al distacco hanno generato reazioni simili: controlli invadenti; collocazione di strumenti atti a consentire il pedinamento; volontà di possesso; intrusioni nell’ambito lavorativo; insofferenza a ogni ricerca di spazio indipendente.

Non solo. In un crescendo di situazioni analoghe, hanno cominciato a manifestarsi le aggressioni: da verbale, la violenza si è trasformata in fisica. Gli episodi si sono fatti sempre più gravi: tracce sul viso, percosse. È sempre questo il momento in cui la situazione viene percepita all’esterno della coppia. Nel caso Stabile, le prime denunce indotte dall’intervento dei figli e il tentativo di separarsi. Nel delitto di Pamela la percezione della sofferenza, registrata come insostenibile.

Gli effetti in genere sono analoghi: le Forze dell’ordine che intervengono non rilevano la gravità del caso e insistono nel tentativo di tornare a una normalità impossibile. Le persone estranee si astengono dallo sporgere denuncia, omettono di segnalare la crescente anomalia di quello che non è più il disagio di un rapporto in crisi, ma una pericolosa situazione di allarme. Arrivano le telefonate ai familiari nel corso delle quali le future vittime narrano paure, ansie e angosce: è l’anticipazione di ciò che avverrà. Ascoltare le voci che annunciano gli esiti tragici che si perfezioneranno significa cogliere l’essenza stessa dei femminicidi. Parole, toni, emotività che anticipano una rassegnata consapevolezza all’esito tragico.

Si potrebbe poi scrivere a lungo sull’arma, emblematica nella sua fisicità e volontà di annientare la femmina: il coltello. E sulla reiterazione brutale e inutilmente anomala del numero dei colpi, tutti inferti con l’intenzione di cancellare l’immagine stessa della donna.

Erano morti evitabili? Esistono strumenti che avrebbero potuto prevenire ciò che è avvenuto? La risposta è sì. Ne riassumiamo il senso: sarebbe stato sufficiente non rifiutare la prospettiva (altamente probabile) di morte che trapelava da quegli indici. Le Forze dell’ordine avrebbero dovuto comprendere che sarebbe stato meglio fare ciò che la legge impone, invece di tentare ciò che nella quasi totalità dei casi è del tutto inutile: riconciliare le parti.

Chi ha visto, ascoltato e constatato gli indizi di ciò che in seguito è avvenuto non ha creduto che l’uomo potesse arrivare a uccidere.

di Cesare Cicorella

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