Morire per una infezione polmonare dopo aver perso 25 chili in sette mesi. È così che è finita l’esistenza di Antonio Raddi, 28 anni, detenuto nel 2019 nel carcere Le Vallette di Torino. Quando era stato arrestato pesava 76 chili, pochi mesi dopo era arrivato a 51. Non riusciva a mangiare, diceva, ma chi lavorava nel carcere pensava fingesse.
Nonostante ben 9 segnalazioni del Garante dei detenuti alla direzione del penitenziario. Quando venne portato in ospedale, il medico certificò il suo grave stato di denutrizione e disse di non aver «mai visto nulla di simile». Quattro membri dello staff sanitario del carcere sono stati indagati. Il pm però ha chiesto l’archiviazione perché non sarebbero emersi elementi sufficienti per stabilire specifiche responsabilità penali. La famiglia ha già annunciato di non volersi fermare, si oppongono all’archiviazione e chiedono giustizia.
Che Antonio Raddi sia morto per una infezione polmonare è certo. Che fosse, al momento del ricovero, ridotto a uno scheletro è acclarato. Non si capisce come sia stato possibile che le richieste del Garante siano rimaste lettera morta. O che 25 chili persi in sette mesi siano stati considerati qualcosa per cui non valeva la pena allarmarsi.
Se vi siano o meno responsabilità lo stabilirà la giustizia, di sicuro non serve una sentenza per capire che la situazione nelle nostre carceri è qualcosa di cui ci si dovrebbe occupare. Siamo già stati sanzionati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Non si può continuare a far finta di nulla.
Di Annalisa Grandi
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