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L’apocalisse dentro di noi

Di fronte a catastrofi come il terremoto in Turchia e Siria veniamo pervasi da un angosciante senso di ineluttabilità. Perché anche questo su pezzi di terra già martoriata?
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L’apocalisse dentro di noi

Di fronte a catastrofi come il terremoto in Turchia e Siria veniamo pervasi da un angosciante senso di ineluttabilità. Perché anche questo su pezzi di terra già martoriata?
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L’apocalisse dentro di noi

Di fronte a catastrofi come il terremoto in Turchia e Siria veniamo pervasi da un angosciante senso di ineluttabilità. Perché anche questo su pezzi di terra già martoriata?
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Di fronte a catastrofi come il terremoto in Turchia e Siria veniamo pervasi da un angosciante senso di ineluttabilità. Perché anche questo su pezzi di terra già martoriata?
Chiunque abbia vissuto sulla propria pelle l’esperienza del terremoto sa che la paura ancestrale della natura, capace di polverizzare con indifferenza il mondo degli uomini, non ti abbandonerà per tutta la vita. Le immagini della tragedia in Turchia e Siria vanno oltre l’umana comprensione e ci torneremo fra poco, ma nulla è più angosciante del senso di ineluttabilità che ti lascia cucito addosso un terremoto. Senti di non poter niente, di essere niente davanti alle spaventose forza della natura: ti guardi intorno in secondi che diventano anni – come quelli vissuti da chi scrive il 23 novembre 1980 – e tutto si dilata. Il tempo, le percezioni, i rumori, le persone… nulla resta come lo conosciamo. Come credevamo fosse immutabile, fino a quando tutto crolla. Dentro di noi, prima ancora che intorno a noi. Ne abbiamo scritto questa mattina e lo leggerete di seguito. Chiedendoci come sia possibile che una simile tragedia sia capitata proprio in una delle zone più martoriate della terra. “Anche questo“, domanda irrazionale, ma che non puoi non porti. La devastazione che ha colpito Turchia e Siria, come scritto, è di dimensioni tali da annullare la capacità di comprensione del singolo individuo. Il numero dei morti, il grado di distruzione, le intere città e aree rase al suolo sino a cambiarne l’immagine, l’idea stessa di sé. La terra che si sposta di 3 metri, lungo 150 chilometri. Quando accade qualcosa del genere è necessario costringersi a guardare il particolare, per non perdere di vista l’insieme. Quando ci sono troppo dolore, troppa morte, troppa distruzione sono le storie singole, le tragedie apparentemente “minori” a restituire la dimensione di quello che è realmente accaduto. Lo sappiamo bene noi italiani, in un Paese colpito tante volte dalla forza devastante delle catastrofi naturali. Imprevedibili, nel caso specifico dei terremoti, ma le cui conseguenze restano anche una nostra diretta responsabilità. Ricordiamo e sono le storie che ciascuno di noi ha fissato nella memoria a riportarci a quei momenti di dolore collettivo. Quando una sciagura, poi, si abbatte su pezzi di mondo già così martoriati come la Siria, si pongono domande oltre la razionalità: perché anche questo? Eppure continuiamo a sperare che, davanti all’impensabile, i migliori e gli uomini di buona volontà – non mancano mai, neppure nelle zone più difficili – sappiano trovare nella tragedia la forza per immaginare un futuro diverso per la propria terra. Resta immensamente più difficile ricostruire case e cuori in mezzo al fanatismo e all’estremismo. Di Fulvio Giuliani

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