L’enorme debito pubblico italiano non ha più l’onore delle cronache, pur rimanendo un onere che incombe. Ogni tanto qualcuno s’accorge di qualche fibrillazione che muove lo spread, ma la fitta di dolore passa in fretta, contando che l’anestetico monetario prodotto dalla Banca centrale europea sia infinito. Invece andrà gradualmente e, si spera, dolcemente scemando. Mentre la discussione sulla revisione del patto di stabilità rimane su uno sfondo che non interessa granché il dibattito pubblico e politico, incoscientemente concentrato su quanto altro possa essere speso – a debito – per lenire, compensare, accompagnare, sopire.
Vista da fuori è una scena surreale. Vista dalla Germania un nodo da affrontare. Chissà, per esempio, quali documenti Olaf Scholz porterà nella sua cartella di lavoro quando sarà il tempo di trattare con i partner europei la revisione dei criteri del patto. Se ci saranno anche le carte di un nuovo studio ripreso dall’“Handelsblatt” e prodotto dall’istituto di ricerca Iw di Colonia – uno dei più influenti think tank economici del Paese – sarà allora il caso di mettere da parte le illusioni su un eccessivo ammorbidimento della posizione tedesca.
I ricercatori renani hanno messo sotto la lente d’ingrandimento i debiti pubblici di cinque Stati del Sud Europa, inserendo anche la Francia nel gruppo, il che già dice molto della considerazione che la gran parte degli economisti tedeschi ha delle finanze del potente vicino di casa. E ne ha simulato l’evoluzione nei prossimi venti anni, sulla base dei dati disponibili e di modelli previsionali. Giungendo al risultato che solo due di essi, i più piccoli Portogallo e Grecia, avrebbero una realistica possibilità di ridurre il proprio debito. Per gli altri tre – Francia, Italia e Spagna, i più grandi e influenti – la montagna è destinata ancora a crescere.
La base di partenza è fornita dai numeri esplosi per far fronte alla pandemia. Tutti i Paesi europei hanno fatto più debito, ma Francia e Italia assieme hanno totalizzato quasi il 45% dell’aumento complessivo in area Ue, rispettivamente con 2,8 e 2,7 miliardi di euro. Il rapporto debito/Pil è del 114,6% in Francia, del 120,6% in Spagna, del 128,1% in Portogallo, del 154,4% in Italia e del 202,9% in Grecia.
Le proiezioni dell’Iw per i prossimi 20 anni (che costituiscono il lasso di tempo in cui, secondo il patto di stabilità, i Paesi dovrebbero rientrare sotto la soglia del 60%, comunque già criticata anche dal capo del Meccanismo europeo di stabilità che ritiene più congruo un limite del 100%) non promettono nulla di buono.
Lo studio intreccia tre scenari.
I modelli tengono conto degli effetti demografici e del probabile andamento dei tassi di interesse.
Il risultato è disarmante: solo Portogallo e Grecia hanno possibilità concrete di ridurre il proprio debito entro il 2041, raggiungendo rispettivamente il 74 e il 139%. Entrambi i Paesi beneficeranno del combinato di forte crescita economica e disciplina finanziaria.
In Francia, a seconda degli scenari, si oscillerà tra 116 e 123%, in Italia tra 155 e 167% e in Spagna tra 120 e 134%. Le ragioni principali sono saldi primari deboli e, soprattutto nel caso dell’Italia, il basso slancio di crescita e il rapido invecchiamento della società.
Lo studio mostra che, anche nel caso più ottimistico, nessuno dei cinque Paesi riuscirà a ridurre il proprio debito nazionale al 60% del Pil entro 20 anni. Nelle condizioni più favorevoli, il Portogallo avrebbe bisogno di almeno 25 anni, la Grecia di 43. Francia, Italia e Spagna non si avvicinerebbero nemmeno al traguardo, ma piuttosto si allontanerebbero da esso.
di Pierluigi Mennitti
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