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Il coraggio che serve per il nucleare

Per il ministro Pichetto Fratin, entro questa legislatura l’Italia vuole avere il quadro giuridico pronto per il ritorno al nucleare. Ma cosa serve per davvero?

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Il coraggio che serve per il nucleare

Per il ministro Pichetto Fratin, entro questa legislatura l’Italia vuole avere il quadro giuridico pronto per il ritorno al nucleare. Ma cosa serve per davvero?

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Il coraggio che serve per il nucleare

Per il ministro Pichetto Fratin, entro questa legislatura l’Italia vuole avere il quadro giuridico pronto per il ritorno al nucleare. Ma cosa serve per davvero?

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Per il ministro Pichetto Fratin, entro questa legislatura l’Italia vuole avere il quadro giuridico pronto per il ritorno al nucleare. Ma cosa serve per davvero?

Ritorno al nucleare. Si potrebbero sintetizzare così le parole del ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che ieri ha annunciato che «entro questa legislatura» il governo vuole aver pronto il quadro giuridico per il ritorno al nucleare, sottolineando che questo è «il mandato del governo e del Parlamento» e che lui sta agendo con un gruppo di lavoro che deve occuparsi delle norme perché, se «vuoi comprarti uno small modular reactor, deve esserci un quadro giuridico compatibile».

Il riferimento citato dal ministro è ai piccoli reattori modulari (il nucleare di quarta generazione su cui vorrebbe scommettere l’Italia), con la speranza di poter realizzare le condizioni di produzione per la fine di questo decennio.

Che il governo di centrodestra alla guida dell’Italia non faccia mistero di puntare sul ritorno al nucleare è un dato che da solo non basta per cambiare però la politica energetica e la scelta di rinuncia fatta dal nostro Paese con il referendum del 1987 dopo l’incidente nella centrale di Chernobyl che si era consumato nell’aprile dell’anno prima. Da quel momento in avanti l’Italia, che era sempre stata all’avanguardia nel settore dell’energia nucleare civile, si è di fatto tagliata fuori da sola relegandosi dall’eccellenza (di allora) al ruolo di ultima arrivata (di oggi).

Che si riparli di nucleare in Italia, oltre a una conseguenza della situazione geopolitica internazionale – con la fine delle importazioni del gas russo in Europa dopo l’aggressione di Mosca all’Ucraina – è anche una conseguenza dei costi schizzati in alto delle bollette (ora ricalate) e di un cambio di cultura e di atteggiamento almeno in una parte dell’opinione pubblica. Arrivare inoltre per ultimi nell’anno 2024 può avere anche i suoi vantaggi, visto che la ricerca e le tecnologie nel settore nucleare sono in continua evoluzione e si può ripartire dalle innovazioni (mentre la Francia che sul nucleare non ha mai avuto pentimenti e ha scommesso da una vita, si ritrova con centrali vecchie anche se ha un enorme vantaggio in forza di produzione).

Parlare del quadro normativo e delle meraviglie dell’innovazione non basta però ad avere una politica nucleare ambiziosa. Per questo due sono le cose che il governo dovrebbe fare, ancor prima di guardare al quadro normativo (comunque determinante): individuare i siti dove installare le centrali nucleari e indicare una mappatura dei siti di stoccaggio per le scorie. Il costo di questi due passaggi è praticamente zero ma farlo adesso permetterebbe di affrontare, da subito, le obiezioni e le perplessità che sicuramente ci saranno da parte di chi non vuole centrali o siti di stoccaggio nel suo territorio. È l’eterno ritorno del “non nel mio giardino”.

Uno scoglio contro cui la politica che punta, con convinzione e argomenti, sul nucleare dovrà comunque fare i conti.

di Massimiliano Lenzi

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