Il peso dei dazi di Trump sull’industria italiana
Il peso dei dazi voluti da Trump si fa sentire. Il -8,1% fatto segnare dalle esportazioni italiane verso i Paesi extra Unione europea e il clamoroso -21% verso gli Usa nel mese di agosto sono dati pesanti
Il peso dei dazi di Trump sull’industria italiana
Il peso dei dazi voluti da Trump si fa sentire. Il -8,1% fatto segnare dalle esportazioni italiane verso i Paesi extra Unione europea e il clamoroso -21% verso gli Usa nel mese di agosto sono dati pesanti
Il peso dei dazi di Trump sull’industria italiana
Il peso dei dazi voluti da Trump si fa sentire. Il -8,1% fatto segnare dalle esportazioni italiane verso i Paesi extra Unione europea e il clamoroso -21% verso gli Usa nel mese di agosto sono dati pesanti
Il -8,1% fatto segnare dalle esportazioni italiane verso i Paesi extra Unione europea e il clamoroso -21% verso gli Usa nel mese di agosto sono dati pesanti. Sarebbero anche inquietanti, se non potessimo legarli a vicende ben note, nelle quali le nostre industrie non hanno alcuna responsabilità diretta.
Non sono stati commessi errori che possano motivare un simile crollo. Perché quando fai -21% in un mese, in un settore cruciale e strategico come quello dell’export, non puoi far finta di nulla. Mentre il consuntivo annuale ad agosto (sempre verso tutti i Paesi extra Ue) fa segnare -7,7%.
Solo che qualcosa è accaduto: le scorribande trumpiane sui dazi. Qualche buontempone sosteneva che l’offensiva del Presidente degli Stati Uniti sulle tariffe si sarebbe tutto sommato risolta in nulla, un po’ di bailamme mediatico e via. Non avremmo sofferto, insomma, perché esportatori e importatori avrebbero potuto distribuirsi il nuovo carico imposto dal capo della Casa Bianca.
E invece gli effetti ci sono: prima dell’estate gli importatori americani sono corsi a fare magazzino, ad accumulare scorte quanto più possibile prima dell’entrata in vigore dei dazi sulle merci europee. Non a caso, le nostre aziende hanno festeggiato una grande primavera in termini di export con numeri drogati dalle esigenze contingenti del mercato americano. A magazzini stracolmi, in piena estate quel -21% appare una logica conseguenza.
L’importanza di saper gestire la “stabilità” dei dazi
La vera partita, pertanto, comincia ora: da adesso in avanti dovremo saper gestire la “stabilità” dei dazi al 15% su cui l’Unione europea ha trovato un faticoso accordo con l’amministrazione Trump.
In questo quadro complesso, è forse il caso di rivedere anche alcuni giudizi frettolosi e un po’ faciloni espressi al momento dell’annuncio del doloroso (comunque la si guardi) accordo fra Washington e Bruxelles sui dazi. Ricorderete le contumelie riservate alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
È stata trattata a pesci in faccia per aver chiuso un accordo amaro quanto si vuole, ma pur sempre capace di contenere i danni per l’industria dell’Ue.
Critiche e accuse a non finire, come se la von der Leyen si fosse mossa in splendida solitudine, senza consultarsi con i propri commissari e con i governi dei 27. Una postura ingenerosa, cui si aggiunge una considerazione ancor più sconfortante: l’arma propagandistica di scaricare gli oneri sull’Europa e tenersi gli onori tutti per sé resta una sirena a cui quasi nessun governo riesce a resistere.
Andatevi a rileggere solo ciò che Donald Trump ha minacciato in tema dazi negli ultimi quattro giorni: sono volate cifre più o meno a caso su diversi settori, dalla farmaceutica – vitale per l’Italia – fino al cinema. Il 15% resta amaro, perché imposto da un governo amico (sarà ancora amico?) ma nell’infinita scala di grigi della vita è spesso preferibile il meno peggio.
di Fulvio Giuliani
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