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ImPatto stabilità e crescita

Occhi puntati all’8 dicembre dove è in programma un Ecofin per prendere in esame la proposta sulla riforma del Patto di stabilità e crescita
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Occhi puntati all’8 dicembre dove è in programma un Ecofin per prendere in esame la proposta sulla riforma del Patto di stabilità e crescita
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Occhi puntati all’8 dicembre dove è in programma un Ecofin per prendere in esame la proposta sulla riforma del Patto di stabilità e crescita
L’attenzione si concentra sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, ovvero dei necessari vincoli che rendono possibile la convivenza e la sinergia – quindi sia la stabilità che la crescita – dei conti nazionali di ciascuno all’interno dell’Unione europea. L’8 dicembre è in programma un Ecofin (i ministri dell’Economia e delle Finanze) per prendere in esame la proposta – da tempo – presentata dalla Commissione europea e le successive mediazioni. Tale attenzione è legittima, ma rischia d’essere fuorviante. Come ha giustamente osservato il nostro ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il problema non è il confronto con le autorità europee ma con i mercati che finanziano il nostro enorme debito pubblico e la nostra principale attenzione dev’essere rivolta a quel debito. L’intenzione, ribadita dall’attuale governo, è quella di ridurre il suo peso in rapporto al Prodotto interno lordo. Si faccia molta attenzione a che l’intenzione non sia smentita dai fatti. Abbiamo già ripetutamente osservato che la minimale riduzione prevista dalla legge di bilancio per il 2024, ovvero uno striminzito -0,1%, si basa su una previsione di crescita troppo ottimistica: un +1,2% rispetto a previsioni realistiche di un +0,7%. Di questo passo andrà bene se raggiungeremo la metà. Ma non c’è soltanto quello, a preoccupare. Rispetto al testo della legge di bilancio, che ancora deve essere esaminato dal Parlamento, già sappiamo che la stretta pensionistica sarà allentata (ad esempio per quel che riguarda i medici), il che significa maggiori uscite; così come sappiamo che la tassa sugli extraprofitti bancari – della quale già scrivemmo il peggio – sarà aggirata dalla possibilità di portare quei soldi a riserva, il che significa meno entrate. Le compensazioni immaginifiche non aiutano a far tornare i conti, ma a renderli meno credibili. Se la maggiore spesa pensionistica si pensa di compensarla con un ancora minore adeguamento all’inflazione (calante) delle pensioni più ‘alte’, si adotta uno strumento incostituzionale che sconterà una smentita quando ciò sarà appurato. E non basta. È passata sotto silenzio la consegna del lavoro chiesto alla commissione presieduta dal professor Cassese, relativo alla fissazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) che dovrebbe accompagnare il regionalismo differenziato. Lì si documenta l’ovvio: se si vuole partire senza creare (ulteriori) squilibri fra regioni, sarà necessaria una maggiore spesa pubblica. Coperta come? E se dal governo si ribadisce che quel regionalismo necessariamente si accompagna alla riforma costituzionale, o ci stanno dicendo che non si farà nessuna delle due cose oppure si sta annunciando un ulteriore buco nei conti. Se l’Italia siederà al tavolo negoziale dell’Ecofin senza portare un credibile piano di riduzione del debito si troverà in una condizione di estrema debolezza. Come, del resto, i continui e patetici rinvii della necessaria e scontata ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) servono soltanto a perdere credibilità e forza nel negoziato. E, ancora una volta, il punto non è tanto cosa sarà scritto nel documento finale, ma se i nostri conti pubblici camminano sulla strada che conduce alla riduzione di debito e deficit o se si sono persi nei vicoli di spese di cui si è smarrito il controllo. Come tragicamente avvenuto con l’abominio del contributo al 110% per i lavori edilizi, che si è rivelato un enorme spreco e un volano d’inflazione. L’impatto più pericoloso non è quello fra i nostri problemi e la riformulazione del Patto, ma fra i primi e la necessità di rifinanziare in continuazione il debito. Va bene non contabilizzare in quei parametri la spesa per la difesa, ma ha un senso se si procede contemporaneamente verso l’integrazione Ue della difesa stessa, con potenziamento dell’industria. Altrimenti la non contabilizzazione non toglie nulla al bisogno di trovare i soldi e pagarne il costo. I nodi arrivano al pettine e non serve a nulla nascondere la chioma o fingersi calvi.   di Davide Giacalone

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