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La crisi Volkswagen

Chiusura di tre fabbriche in Germania, migliaia di licenziamenti e la riduzione del 10% dello stipendio di 140mila lavoratori. Tutto ciò avviene in Volkswagen

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Chiusura di tre fabbriche in Germania, migliaia di licenziamenti e la riduzione del 10% dello stipendio di 140mila lavoratori. Tutto ciò avviene in Volkswagen

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Chiusura di tre fabbriche in Germania, migliaia di licenziamenti e la riduzione del 10% dello stipendio di 140mila lavoratori. Tutto ciò avviene in Volkswagen

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Chiusura di tre fabbriche in Germania, migliaia di licenziamenti e la riduzione del 10% dello stipendio di 140mila lavoratori. Tutto ciò avviene in Volkswagen

La Volkswagen sta pianificando una ristrutturazione senza precedenti che include la chiusura di tre fabbriche in Germania, migliaia di licenziamenti e la riduzione del 10% dello stipendio di 140mila lavoratori. A rivelare l’entità del piano è il Consiglio di fabbrica, ovvero l’organo sindacale che rappresenta i dipendenti del gruppo nel Consiglio d’amministrazione, che lunedì ha indetto una grande manifestazione di fronte al quartier generale della società a Wolfsburg. Daniela Cavallo, la presidente del Consiglio di fabbrica, ha annunciato i dettagli del piano propostole dall’azienda di fronte all’assemblea dei lavoratori, nel tentativo di mobilitare la resistenza.

Le trattative sindacali erano infatti in corso da settimane, ma la gravità dei tagli previsti non era ancora chiara. In 87 anni di storia la Volkswagen – che significa letteralmente “vettura del popolo” – non ha mai chiuso una fabbrica in Germania: la sua crisi rappresenta la fine di un’era e avrà ripercussioni enormi a livello economico, sociale e politico poiché l’azienda è uno dei simboli del rilancio industriale tedesco del secondo dopoguerra e dell’eccellenza teutonica nel settore delle auto. La stessa Cavallo è in qualche modo un’incarnazione di questa storia: figlia di gastarbeiter (lavoratori ospiti) italiani assunti come operai alla Volkswagen, è diventata prima impiegata e poi manager della stessa azienda, arrivando a rappresentare i lavoratori di un gruppo che ha 300mila dipendenti in Germania e altri 360mila nel resto del mondo.

A rendere ancora più inaccettabili le chiusure e i licenziamenti è il modo in cui ci si è arrivati. Nella prima metà del 2024 la Volkswagen ha registrato un crollo del 20% delle vendite in Cina, un mercato su cui la società ha investito moltissimo ma nel quale non riesce ad affermarsi a causa della concorrenza locale. Un fallimento della strategia industriale che arriva dopo una lunga serie di errori e decisioni sbagliate, che hanno reso inevitabile la scelta di affrontare una profonda e dolorosa ristrutturazione in patria.

Il colosso dell’automotive tedesco (che comprende i marchi di sette diversi Paesi europei) è entrato in crisi dopo aver accumulato un grosso ritardo nella transizione verso i veicoli elettrici (Ev), un settore in cui rivali come la cinese Byd e la statunitense Tesla sono in netto vantaggio. Inoltre, le vendite di Volkswagen in Europa sono inferiori di circa un quinto rispetto al picco pre-pandemia e la sua crisi viene vista come un segnale di allarme di quello che potrebbe succedere ai produttori di auto di tutto il Vecchio Continente.

Negli ultimi mesi sono emersi diversi segnali preoccupanti. Mercedes-Benz sta lottando contro il calo del 13% delle vendite in Cina, la Bmw è alle prese con un costoso richiamo che coinvolge 1,5 milioni di auto, Stellantis sta registrando scarse prestazioni sul mercato degli Stati Uniti. Quasi tutte le aziende hanno rivisto al ribasso le stime sui profitti del 2024 e lamentano costi troppo alti dell’energia e del personale, chiedendo un intervento molto più assertivo dei governi e dell’Unione europea.

Senza la sopravvivenza di un’industria automotive solida e all’avanguardia falliranno anche molti progetti europei sullo sviluppo dei semiconduttori e delle nuove tecnologie: Wolfspeed, il produttore statunitense di chip a banda larga (fondamentali nelle filiere delle reti elettriche più avanzate), ha accantonato i piani per costruire un impianto da 3,2 miliardi di dollari in Germania, adducendo come motivo la lenta diffusione delle Ev in Europa.

di Federico Bosco

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