La scuola italiana non è solo una questione di soldi
| Economia
Nel dibattito sull’adeguamento degli stipendi dei docenti alla media UE non si tengono conto dei tanti, troppi problemi, che la scuola italiana affronta ogni giorno. Gli stipendi, a confronto, sono il male minore.
La scuola italiana non è solo una questione di soldi
Nel dibattito sull’adeguamento degli stipendi dei docenti alla media UE non si tengono conto dei tanti, troppi problemi, che la scuola italiana affronta ogni giorno. Gli stipendi, a confronto, sono il male minore.
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La scuola italiana non è solo una questione di soldi
Nel dibattito sull’adeguamento degli stipendi dei docenti alla media UE non si tengono conto dei tanti, troppi problemi, che la scuola italiana affronta ogni giorno. Gli stipendi, a confronto, sono il male minore.
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AUTORE: Cristina Agazzi
In questo periodo dovunque si sente parlare di adeguamento degli stipendi dei docenti alla media europea.
Fa male che sia questo il primo punto di ogni rivendicazione sindacale o promessa elettorale, invece di una seria e rivoluzionaria riforma della scuola che abbia davvero a cuore i giovani e il loro futuro, con particolare attenzione agli istituti professionali. Infatti solo prendendosi cura dei ragazzi del professionale, spesso provenienti da famiglie o zone disagiate, si può sperare di incidere davvero su un reale cambiamento culturale, sociale e umano del Paese!
Un’altra cosa che stride, quando si parla di adeguamento agli altri Paesi, è che si confrontano sempre e solo gli stipendi, non il numero medio di ore di lezione e di alunni per classe, entrambi in Italia inferiori alla media OCSE! E nessuno accenna a mettere in relazione gli stipendi col reale costo della vita nei vari Stati (già in Italia è irrazionale il paragone tra Milano e Potenza): senza questo confronto tra i dati non si può impostare nessun discorso sensato e oggettivo. Sarebbe anche onesto confrontare le modalità di reclutamento (punto debolissimo della nostra scuola) e sapere che ad esempio nell’invidiata Germania chi vuole diventare insegnante deve frequentare una facoltà specifica (dunque sceglie prima, per passione e non dopo, per ripiego) con un percorso di otto anni, numerosi tirocini e due esami di Stato.
Per completare il quadro, tutti coloro che esigono un adeguamento alla condizione delle scuole europee, guarda caso premono per eliminare l’Invalsi, unico strumento di confronto oggettivo tra i vari Paesi vista la farsesca autocelebrazione dei docenti che è diventata la maturità. Sottrarsi alla comparazione di dati sembra rivelare mancanza di volontà e di capacità per impegnarsi seriamente nell’eliminare il gap rilevato da queste prove.
La scuola ha enormi problemi che meritano grande attenzione da subito e sono impossibili da affrontare in poche righe. Tra le maggiori sofferenze c’è il malessere del personale, l’inadeguatezza del reclutamento e il trattamento dei precari, ma una volta entrati nella “casta” scattano, come un riflesso automatico, lo spirito di conservazione e la cecità indifferente nei confronti di tutto quello che accade nel mondo al di fuori della scuola. È innegabile che ruolo e responsabilità dei docenti richiederebbero una considerazione sociale ed economica diverse, ma quello che mi fa soffrire e di cui mi vergogno, come insegnante, è che si facciano continue richieste quasi esclusivamente riguardanti i soldi, senza essere disposti in cambio a rinunciare a nulla di quelli che vengono ritenuti diritti acquisiti e intoccabili.
E il continuo confronto con gli stipendi europei è solo di facciata e non ha senso se si nascondono volontariamente tutti gli altri parametri da considerare per rendere realistico e utile il paragone. È comodo e facile voler adeguarsi all’Europa nei diritti, lo è molto meno farlo coerentemente e onestamente anche nei doveri!
di Cristina Agazzi
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