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Pil Italia

L’Italia dei grandi numeri economici vola sul tetto d’Europa

Nel primo semestre del 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,4%. Siamo primi in Europa per crescita economica: dovremmo imparare ad apprezzarlo e a gioirne di più.
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L’Italia dei grandi numeri economici vola sul tetto d’Europa

Nel primo semestre del 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,4%. Siamo primi in Europa per crescita economica: dovremmo imparare ad apprezzarlo e a gioirne di più.
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L’Italia dei grandi numeri economici vola sul tetto d’Europa

Nel primo semestre del 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,4%. Siamo primi in Europa per crescita economica: dovremmo imparare ad apprezzarlo e a gioirne di più.
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Nel primo semestre del 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,4%. Siamo primi in Europa per crescita economica: dovremmo imparare ad apprezzarlo e a gioirne di più.
Tutti noi siamo portati, nella gran parte dei casi, a reagire con maggiore energia (e agitazione) alle notizie negative rispetto a quelle positive. È stato provato da raffinate analisi psicologiche, per esempio, come sia molto più forte il timore di subire un danno ai nostri risparmi rispetto alla soddisfazione provata per una crescita di identica percentuale dei propri investimenti. È un po’ il ragionamento del rumore della foresta che cresce o dell’albero che cade, rapportato al mondo del risparmio. Funzioniamo così e per certi aspetti c’è poco da fare. Eppure, se si ha voglia di mettere in fila alcuni dei numeri fatti segnare dall’Italia negli ultimi tempi, c’è da sgranare gli occhi. Nel primo semestre del 2022 il Pil italiano ha acquisito una crescita sull’intero anno del 3,4%, unica grande economia a costringere il Fondo monetario internazionale a rivedere al rialzo le proprie stime. Se allunghiamo lo sguardo sull’intera esperienza dei quasi 17 mesi del governo Draghi, la crescita reale del nostro Pil tocca il +7,6%. A livello mondiale (nell’ambito del G20) la Corea del Sud è seconda e ha fatto segnare +5,6%, la Francia +5,4%, Il Canada +5,2%, gli Stati Uniti +4,9%, la Cina +2,7% e la Germania +2%. Nel primo trimestre di quest’anno le nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sono cresciute del 21% rispetto allo stesso periodo del 2021. È vero, si era già in una fase segnata dall’impetuoso rafforzamento del dollaro sull’euro, ma ci risulta che la moneta unica sia di corso legale anche in Germania, Spagna e Francia. Battiamo Berlino e Madrid di 12 punti percentuali e Parigi di 4. Non solo a parità di condizioni, ma nel pieno degli effetti nefasti legati alla guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina e alle prese con l’esplosione dell’inflazione, che ha portato all’inevitabile rialzo del costo del denaro, dopo gli anni della pandemia. Non certo casualmente, questo bizzarro Paese che – come scrivevamo solo ieri – non perde occasione di dipingersi debole, afflitto e destinato al declino, continua a essere una potenza mondiale della manifattura e dell’export. Il che genera, in un quadro come quello che abbiano appena descritto, un boom dell’occupazione. Sia pur ancora lontani dalla media dell’Unione europea, abbiamo comunque raggiunto il livello più alto di percentuale di occupati da quando partirono le serie storiche dell’Istat, nel lontano 1977. Del resto produciamo di più, facciamo marciare di più le linee perché c’è alta domanda delle nostre merci e abbiamo bisogno di aumentare gli occupati per sostenere la produzione. Logico. Qui la politica non c’entra nulla, men che meno l’ideologia. Chiunque abbia realmente a cuore il Paese e la forza intrinseca di un sistema produttivo che a parità di condizioni altrove sarebbe stato schiantato anni fa, non prova alcun brivido a immaginare che il ministro dello Sviluppo economico sia di questa o quella parte politica. Chiede solo capacità, visione e rispetto per la forza di un Paese che andrebbe semplicemente lasciata libera di esprimersi, senza regalare di continuo energie, fondi e tempo alle gigantesche sacche di improduttività che continuiamo a coccolare per piccoli interessi corporativi o elettorali. Si fa un gran parlare di “scelte di campo”, in queste settimane di campagna elettorale: l’unica scelta di campo che noi vediamo è quella fra sviluppo, occupazione, benessere, ricerca e sperimentazione da un lato e il grigio conformismo dell’assistenzialismo fine a sé stesso dall’altro. Tutto qui.   di Fulvio Giuliani

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