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Il 25% dei giovani italiani è a “rischio povertà”

In Italia il 25% dei giovani è a rischio povertà. Un problema che si può affrontare solo se si ha la volontà di prendere dall’estero non solo i diritti ma anche i doveri

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Il 25% dei giovani italiani è a “rischio povertà”

In Italia il 25% dei giovani è a rischio povertà. Un problema che si può affrontare solo se si ha la volontà di prendere dall’estero non solo i diritti ma anche i doveri

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Il 25% dei giovani italiani è a “rischio povertà”

In Italia il 25% dei giovani è a rischio povertà. Un problema che si può affrontare solo se si ha la volontà di prendere dall’estero non solo i diritti ma anche i doveri

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In Italia il 25% dei giovani è a rischio povertà. Un problema che si può affrontare solo se si ha la volontà di prendere dall’estero non solo i diritti ma anche i doveri

Le analisi statistiche sulla popolazione dell’Unione europea sono per loro stessa natura estremamente complesse da valutare. Vanno maneggiate con cura: parliamo di 447 milioni di cittadini, unenormità in cui confondere la media con una “verità” sovrapponibile a realtà diversissime è un errore dietro l’angolo. In quel quasi mezzo miliardo di abitanti, comunque sia, il 6% degli under 29 vive in condizioni di povertà. Una media, lo ripetiamo, di ragazze e ragazzi che faticano ad arrivare a fine mese, con notevoli differenze da Paese a Paese. Nessuna particolare sorpresa, considerato che troviamo in fondo alla classifica Romania, Bulgaria e Grecia, con percentuali variabili fra il 23 e il 14%.

Queste le condizioni più gravi, ma c’è un altro indicatore – percentualmente molto più alto – da tenere sotto osservazione: quello del “rischio di povertà”. Nel nostro Paese, un pericolo molto più forte fra i giovani che nel resto della popolazione: 25% contro il 20%. È tollerabile che in Italia un ragazzo su quattro rischi la povertà? Ovviamente no, ma questo è persino banale nella sua crudezza.

Cosa facciamo di concreto per ridurre il pericolo? Stiamo lavorando per aggredire il problema o ci accontentiamo di strapparci i capelli in favore di telecamera? Se volessimo esercitare il cinismo tanto in voga oggi, potremmo dire di aver risolto il tema alla radice smettendo di far figli e osservando con suprema indifferenza lo spopolamento e il progressivo invecchiamento del Paese. Perché mai sbattersi, insomma, per una fascia di popolazione che sarà sempre meno numerosa, sempre meno ‘pesante’ in termini elettorali, sempre meno decisiva negli anni a venire. Paradossi a parte, non siamo per nulla cinici e indifferenti al modo in cui lItalia sembra consegnarsi a un futuro di Paese non per giovani. Il problema è che a questi ultimi risultano immensamente più utili le verità – a cominciare da quelle scomode – piuttosto che le pietose bugie.

Quel rischio di povertà di cui si scriveva è anche figlio di un mercato del lavoro sclerotizzato, di merito e concorrenza narrati come il peggiore dei mali possibili. È promessa di povertà una scuola e ununiversità che non funzionano, in cui si continua ossessivamente a parlare solo dei professori, di nuove assunzioni, di precari da regolarizzare – il solito armamentario – e mai degli studenti e della loro formazione alla vita e al lavoro. È ormai una moda denunciare la (supposta) troppa competitività richiesta fra i banchi o nelle aule. È bastato un appello dialetticamente efficace sulla cieca competizione cui verrebbero abbandonati i nostri ragazzi, per scatenare linferno sull’università. Molto comodo far di sì con la testa e non vedere che da noi di competizione e selezione ce n’è molta di meno che negli altri Paesi europei. Per non parlare dell’atmosfera in cui vengono allevate le nuove generazioni nel Far East o nelle più prestigiose università anglosassoni. Altro che competizione all’italiana.

Da noi, solo a immaginare di premiare i migliori studenti (per non parlare dei migliori professori), bene che vada si passa per fascistelli o affamatori del popolo. Se invece si continuano a sfornare ragazzi poco preparati al mondo del lavoro, per nulla abituati a ragionare con la propria testa, non allevati a uno spirito critico e di sfida all’ordine costituito, si viene eletti a paladini delle nuove generazioni. Curioso.

Va forte anche linvocazione a stipendi più alti e responsabilità molto più ampie per i giovani, ma poi non si vuole mollare neanche uno dei privilegi o delle super garanzie riconosciuti per diritto anagrafico agli stessi che parlano solo di precari. È puro strabismo intellettuale: si cantano le lodi delle opportunità concesse all’estero ai giovani (con annessa mitologia della fuga dei cervelli”), ma chi suggerisce di importare alcune delle caratteristiche di quei mercati del lavoro viene preso direttamente per pazzo. Si fa di tutto per appiattire i più giovani – con il passare degli anni le differenze emergono inevitabilmente – salvo piangere come manco i coccodrilli.

Di Fulvio Giuliani

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