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Se 276.000 posti di lavoro vi sembran pochi

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276.000 posti di lavoro da andare a occupare in un quinquennio – solo in cinque settori – non meritano grande riflessione dagli infaticabili profeti di sventura

Se 276.000 posti di lavoro vi sembran pochi

276.000 posti di lavoro da andare a occupare in un quinquennio – solo in cinque settori – non meritano grande riflessione dagli infaticabili profeti di sventura

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Se 276.000 posti di lavoro vi sembran pochi

276.000 posti di lavoro da andare a occupare in un quinquennio – solo in cinque settori – non meritano grande riflessione dagli infaticabili profeti di sventura

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Nei prossimi cinque anni in Italia, solo nei cinque settori della moda, del design, dei motori, dell’alimentare e dell’ospitalità, serviranno 276.000 lavoratori dei quali – secondo i dati diffusi da Altagamma e Unioncamere – le aziende faranno fatica a reperirne almeno la metà. Solo in questi cinque settori, importanti quanto si vuole ma che certo non esauriscono il panorama dell’offerta e del mondo del lavoro in Italia. 

Perché sarà così difficile occupare le posizioni offerte lo sanno tutti, anche se si evita accuratamente di sottolinearlo, mentre si dedicano pagine e pagine, post e post trasmissioni e trasmissioni alla solita narrazione dei giovani italiani senza futuro e privati di qualsiasi opportunità in patria. 276.000 posti di lavoro da andare a occupare in un quinquennio – solo in cinque settori – non meritano grande riflessione dagli infaticabili profeti di sventura e cantori di bonus e prebende a perdere. 

La stessa transizione digitale vale centinaia di migliaia di posti di lavoro, molti dei quali in occupazioni che oggi neppure esistono e per le quali sarà decisivo fornire competenze, ma anche un’attitudine alla formazione continua sostanzialmente sconosciuta in questo Paese. Per tacere delle soft skills che per tanti sono solo un’espressione cool per fare i fighi. Certificato da questi dati, sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di occuparsi delle tematiche del lavoro senza barriere ideologiche e paraocchi, è il nostro vero dramma: non il precariato narrato con ossessione da ogni parte, ma la condanna all’impreparazione cui destiniamo i nostri figli per pigrizia, sciatteria e cattiva coscienza. 

Perché di fronte alle enormi possibilità che potremmo offrir loro, invece di spronarli a una formazione sempre più accurata, preferiamo coccolarli nell’idea della decadenza. Sollevandoli da ogni responsabilità, per poter cinicamente sollevare noi stessi. 

Denunciamo la fine del futuro per far sì che nulla cambi, a tutto vantaggio di noi abbondantemente adulti e molto garantiti. Il giorno che nostri ragazzi lo capiranno fino in fondo ci manderanno a stendere di brutto.

di Fulvio Giuliani

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