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giovani afghani

Tradire i giovani afghani è tradire una generazione

I giovani afghani non sono così lontani da noi: Internet ha creato una cultura comune e ci ha anche restituito le loro paure e preoccupazioni, che sono le nostre. Abbiamo il dovere di ascoltarle.

Tradire i giovani afghani è tradire una generazione

I giovani afghani non sono così lontani da noi: Internet ha creato una cultura comune e ci ha anche restituito le loro paure e preoccupazioni, che sono le nostre. Abbiamo il dovere di ascoltarle.

Tradire i giovani afghani è tradire una generazione

I giovani afghani non sono così lontani da noi: Internet ha creato una cultura comune e ci ha anche restituito le loro paure e preoccupazioni, che sono le nostre. Abbiamo il dovere di ascoltarle.
I giovani afghani non sono così lontani da noi: Internet ha creato una cultura comune e ci ha anche restituito le loro paure e preoccupazioni, che sono le nostre. Abbiamo il dovere di ascoltarle.
C’è una cosa che le generazioni precedenti alla mia non riescono a capire di noi millenials: abbiamo tutti, indipendentemente dalla nostra provenienza, più o meno la stessa cultura. In luoghi molto lontani, con famiglie e contesti estremamente diversi, c’è qualcosa che ci distingue da chi viveva la gioventù 20/30 anni fa. Noi ragazzi, oggi, abbiamo una koinè. Abbiamo internet. Vediamo le stesse storie, informazioni, mode, tutte attraverso un piccolo schermo con accessibilità -più o meno- da tutto il mondo.  Mi sono accorta di questo aspetto in Erasmus, quando ho legato moltissimo con amici messicani e tunisini; certo, non conoscevo ogni aspetto della loro cultura né loro della mia, c’era molto da scoprire e di diverso, ma alcuni riferimenti erano gli stessi. Le canzoni e pop star amate, i film visti, i jeans portati. E poi, se sopra quei jeans si indossa anche un’ hijab, i gusti e gli interessi cambiano di poco. Pur avendo vissuto vent’anni in luoghi paralleli, c’era una forte somiglianza, una distanza molto più sottile di quanto si possa immaginare.  Le comparazioni tra generazioni si fanno sempre su un piano temporale, a colpi di “ai miei tempi…” o “i giovani d’oggi…”, ma è necessario un confronto guardando allo spazio, più che al tempo. Adesso, proprio in questo momento, ci sono dei giovani come me con sogni simili, aspirazioni, progetti che però vivono in una parte del mondo in cui è estremamente difficile realizzarli, se non impossibile. Di diverso rispetto a me, ci sono le coordinate geografiche del punto in cui sono nati.    Uno di questi luoghi è l’Afghanistan, protagonista mediatico degli ultimi giorni. I talebani hanno fatto il loro ingresso nella capitale, conquistando definitivamente tutto il paese, e non hanno trovato un esercito a contrastarli né una resistenza armata, ma persone sicuramente diverse rispetto a vent’anni fa, ragazzi e ragazze che non hanno conosciuto la vita sotto i loro dettami, che non li hanno vissuti nella loro quotidianità.    Ora i talebani sono piombati sulle vite dei giovani afghani, e vogliono imporre loro un modo di vivere che non gli appartiene. È difficile solo immaginare come ci saremmo potuti sentire noi, giovani occidentali, nell’affrontare tutto questo. Ma è più facile comprenderlo grazie a internet.  Tra le tanti immagini e contenuti girati in rete, è diventato virale un video in cui una ragazza afghana piange, dicendo che sono destinati a morire “lentamente nella storia” perché afghani.  

 

Un video semplice, come potrei pubblicarlo io sui miei social, solo che al posto di un contenuto sulle mie vacanze estive, c’è una ragazza che si asciuga le lacrime per essere nata nel posto sbagliato del mondo. 

Di fronte a queste scene non possiamo rimanere indifferenti, perché tradire i giovani afghani sarebbe come tradire noi stessi, un’intera generazione.  “Per molti bambini e bambine, ragazzi e ragazze afghani cresciuti in questo tempo lungo, la nostra presenza di occidentali a protezione del loro stile di vita dev’essere diventato una promessa duratura in cui credere, su cui fondare delle esistenze.” ha scritto qualche giorno fa Paolo Giordano su Il Corriere “Finché ce ne siamo andati, per ragioni ancora più nebulose e non dichiarate di quelle che ci avevano portato lì, ritirando in un istante la promessa”. È difficile e forse anche semplicistico esprimere un’idea netta sul ruolo giocato dall’Occidente in questa vicenda, sulle sue colpe, ed è altrettanto complicato avere una visione d’insieme su una guerra scoppiata molto più di vent’anni fa. Ma se il bilancio di questo conflitto compare ancora fumoso, è chiaro invece quello che bisogna fare ora; aiutare, con tutti i mezzi necessari, il popolo afghano.   di Sara Tonini   Per leggere come il luogo di nascita ci influenzi anche all’interno del nostro stesso Paese, leggi To Napoli with love

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