Spaventano i dati statistici dei giovani, i quali, con l’avvento pandemico e la cosiddetta “rivoluzione digitale” lasciano la scuola prematuramente perché si sentono già sicuri delle proprie competenze, pronti per il mondo del lavoro, convinti del fatto che nella loro pur modesta vita, abbiano imparato tutto quel che serve sapere per vivere come i grandi.
Uno studio nazionale (Cgia) riporta dati significativi: 543 mila sono i giovani che nel 2020 nel nostro paese hanno lasciato la scuola dopo la licenza media, con alto tasso percentuale al Sud. L’Italia si colloca al terzo posto nell’Unione europea per tasso di dispersione scolastica. Preoccupano queste criticità, le quali potrebbero diventare più gravi con il passare del tempo.
Con l’avvento d’internet è cresciuta l’illusione di conoscere. Molte persone si soffermano leggendo solo il titolo dell’articolo, non approfondiscono i temi, pensano di aver capito tutto, si documentano su Facebook e non si accertano della fonte del messaggio.
Una volta la conoscenza era per pochi, solo chi poteva economicamente, poi grazie alle biblioteche il sapere ha raggiunto il popolo. Oggi abbiamo lo Smartphone, dispositivo dalle molteplici capacità e funzioni multitasking. Le potenzialità di ricerca del sapere d’oggi sono pressochè infinite: si può fare una ricerca a qualsiasi ora del giorno e in qualunque posto. Potremmo conoscere tantissime nozioni, ma non è così.
I social network rappresentano un enorme potenziale per l’evoluzione della specie. Così si pensava, poiché tutti hanno modo di accedere alla conoscenza con un click, potendosi confrontare su un qualsiasi argomento con un numero di persone che la fisica non potrebbe permettere. Purtroppo i fatti sono diversi.
I social sono diventati un luogo dove scaricare rabbia e frustrazione. Peccato, perché il confronto è bello se costruttivo, ognuno di noi ha filosofie di pensiero diverse. Dovremmo imparare ad affrontare le discussioni dei vari argomenti con rispetto, empatia, e una giusta apertura mentale.
Abbiamo il “sapere” a portata di mano ma non lo consideriamo. Perché?
Le persone si sopravvalutano, non sanno quello che non conoscono. Viene spiegato meglio da uno studio condotto da Dunning-Kruger, tramite una distorsione cognitiva ipotetica, a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità. La distorsione è legata al pregiudizio cognitivo della superiorità illusoria e deriva dall’incapacità delle persone di riconoscere la propria mancanza di capacità. Senza l’autoconsapevolezza della metacognizione, le persone non possono infatti, oggettivamente, valutare il loro livello di competenza.
L’involuzione nel 2021 non è accettabile, si sta prediligendo l’ignoranza, più facile e leggera, a discapito dell’informazione, noiosa e lunga. Insomma, “sapere” si fa fatica.
di Marco Mauri
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