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Ottenebrati da San Patrignano

È squilibrato fin dal titolo: “Luci e tenebre di San Patrignano”. Con le tenebre al posto delle ombre. In alcuni passaggi lo squilibrio è ricercato dagli autori, in altri il prodotto di un errore di ricostruzione. Non di meno l’ho visto con animo sereno e a tratti grato, perché quei luoghi, quelle persone e quei tempi li conosco. Li condivisi. Li condivido.
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Ottenebrati da San Patrignano

È squilibrato fin dal titolo: “Luci e tenebre di San Patrignano”. Con le tenebre al posto delle ombre. In alcuni passaggi lo squilibrio è ricercato dagli autori, in altri il prodotto di un errore di ricostruzione. Non di meno l’ho visto con animo sereno e a tratti grato, perché quei luoghi, quelle persone e quei tempi li conosco. Li condivisi. Li condivido.
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Ottenebrati da San Patrignano

È squilibrato fin dal titolo: “Luci e tenebre di San Patrignano”. Con le tenebre al posto delle ombre. In alcuni passaggi lo squilibrio è ricercato dagli autori, in altri il prodotto di un errore di ricostruzione. Non di meno l’ho visto con animo sereno e a tratti grato, perché quei luoghi, quelle persone e quei tempi li conosco. Li condivisi. Li condivido.
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È squilibrato fin dal titolo: “Luci e tenebre di San Patrignano”. Con le tenebre al posto delle ombre. In alcuni passaggi lo squilibrio è ricercato dagli autori, in altri il prodotto di un errore di ricostruzione. Non di meno l’ho visto con animo sereno e a tratti grato, perché quei luoghi, quelle persone e quei tempi li conosco. Li condivisi. Li condivido.
In quel documentario le immagini sono decisive. Se racconto le violenze e ci metto l’abbattimento ripetuto, continuato, ossessivo di animali, in macelleria, il sangue che corre non documenta la macellazione, ma riempie di sé l’accaduto. Conta poi poco se cito la sentenza, senza fermarmi a spiegare che la sua mitezza, all’evidenza, non è compatibile con quel che ho raccontato. Se racconto le accuse penali e metto le assoluzioni in conto al peso dell’opinione pubblica non documento una realtà, ma incarno un pregiudizio. Se faccio parlare i collaboratori più stretti di Vincenzo Muccioli, descrivendoli come il “cerchio magico”, denominazione allora inesistente, che allude ad altre situazioni e scandali, e trascuro di approfondire il fatto che attorno a sé Vincenzo non teneva i più fidati, ma i più difficili, conta poi poco se i loro racconti sono effettivamente contraddittori. Perché il documentario non rende giustizia neanche a loro, non ne comprende e restituisce il lato drammatico: adulti che da adulti dovettero la vita a un uomo che ancora ricordano con contrastato affetto, ma perseverano nel non sapere reggere il peso della riconoscenza. Che non è facile, per nessuno. Dunque tutto si reggeva su questo santone violento? È morto nel 1995, siamo nel 2021 e San Patrignano è ancora lì. Almeno il dubbio sarebbe dovuto venire, agli autori. Certo che non era un santo, ma neanche un violento. Era un Uomo. Ho pensato a lui quando, di recente, una ragazza è fuggita da una comunità, nessuno l’ha cercata, s’è prostituita, ha ritrovato la droga, è stata fatta a pezzi. Avrebbe provato a impedirlo. Tutto qui. Certo che Vincenzo commise degli errori. Provate a raccontare venti anni, giorni e notti, in un pronto soccorso e ditemi se vi vien voglia di parlare degli errori. Certo che la sua personalità era cresciuta ed era divenuta un simbolo, ma questa è la parte straziante: sapeva che si sarebbe dovuto cancellare perché la sua creatura sopravvivesse. Senza di lui. Ed ebbe tragicamente ragione. Non si sono accorti, i documentaristi, di quel dettaglio incredibile? la bara chiusa davanti al pubblico, il corpo prima visibile e poi, davanti a tutti chiuso dentro. Si sono chiesti il perché? Già allora si provò a sporcare anche la sua morte, a fargli una colpa dell’ipotesi Aids, come se a un missionario rimproverassero la Lebbra. E nel documentario la supposta omosessualità equiparata a una colpa, in una sorta di crasi fra giustizialismo e bacchettonismo. Il tutto esercitato sul falso. Mi sia consentito un ricordo, da persona che gli fu vicina, diversi passi indietro, da persona incredula e non disposta a concedere nulla neanche al migliore amico. Ero con lui, in ufficio, nei giorni del Natale e un ragazzo, che conoscevo ed era lì da tempo, chiese udienza. Vincenzo sapeva perché. Lo ricevette e lo ascoltò nel mentre fingeva di guardar delle carte, quando quello ebbe finito di comunicargli che intendeva andare via prese la parola e lo ricoprì d’insulti. Lo assalì con una violenza impressionante, dandogli del fallito, comunicandogli che sarebbe morto di droga e, quindi, licenziandolo. Quando uscì, dopo essermene stato in silenzio, gli chiesi: Perché? è un bravo ragazzo, perché? Ecco quel che manca in cinque puntate: mi guardò, si aprì in un sorriso e disse di avergli appena fatto un regalo di Natale: quello torna l’anno prossimo e viene a dirmi che lo stronzo sono io, perché lui non si è drogato, sta lavorando ed è felice, capisci il regalo che gli ho fatto? Gli ho dato la forza e la motivazione di resistere e tornare a darmi dello stronzo, e quel giorno ci abbracceremo e avrò un regalo anche io. Pensate se avessero ripreso la scena e oggi la trasmettessero dicendo: guardate la verità. No: guardate il bidone. Non un santo, non un demone. Un Uomo. di Davide Giacalone

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