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Av(v)entino

Uno spettacolo teatrale di sfiducia quello fornito ieri dal Parlamento, riunito in seduta congiunta per l’elezione di un giudice costituzionale che manca da undici mesi

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Uno spettacolo teatrale di sfiducia quello fornito ieri dal Parlamento, riunito in seduta congiunta per l’elezione di un giudice costituzionale che manca da undici mesi

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Uno spettacolo teatrale di sfiducia quello fornito ieri dal Parlamento, riunito in seduta congiunta per l’elezione di un giudice costituzionale che manca da undici mesi

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Uno spettacolo teatrale di sfiducia quello fornito ieri dal Parlamento, riunito in seduta congiunta per l’elezione di un giudice costituzionale che manca da undici mesi

Una teatrale rappresentazione di sfiducia. In sé stessi e nei propri sodali. Questo lo spettacolo fornito ieri dal Parlamento, riunito in seduta congiunta per l’elezione di un giudice costituzionale che manca da undici mesi. Era l’ottavo tentativo, andato a vuoto. Ma non è tanto la cilecca in sé, quanto «’l modo ancor m’offende», tanto più che ad accompagnarlo non c’è la passione di Paolo e Francesca «ch’al cor gentil ratto s’apprende», quanto la paura di contare il parlamentare amico e traditore, che nell’urna segreta sorcio s’asconde.

Quelli che siedono alla Corte costituzionale si chiamano “giudici”, ma non sono magistrati. Soltanto un terzo di loro vi siedono in quanto tali, mentre i restanti due terzi – divisi parimenti fra nomine del Presidente della Repubblica e del Parlamento (quando ci riesce) – possono essere scelti fra avvocati e studiosi di diritto, comunque non necessariamente magistrati. La Corte è giudice delle leggi, sicché sia per la composizione che per la funzione ha una natura sanamente politica. Che non significa e non deve significare: partitica. Alla Corte si entra (o si dovrebbe) non soltanto per la propria sapienza, ma anche per le proprie opinioni di diritto. Il meccanismo di nomina parlamentare è tale da indurre a fare accordi, resi più semplici dall’alta qualità dei soggetti in questione.

Taluno ripete, a pappagallo, che la Corte è stata fin qui di sinistra. Posto che il primo presidente, nel 1955, fu l’ex presidente di un tribunale fascista, per giunta intitolato alla razza, è tesi ardita. Certo, per molto tempo ha svolto un ruolo progressista, perché giudicava le leggi del passato alla luce della Costituzione del 1948. Evviva.

Il fatto che il Parlamento non riesca a coprire un posto vacante è grave. Sia perché il collegio risulta monco, sia perché evidenzia l’incapacità a compromettersi per decidere. A dicembre ne scadono altri tre e stai a vedere che con quattro posti sarà più facile compromettersi. Deplorevole.

Il candidato della destra non piace alle opposizioni. Legittimo. Ma perché evitare di votare? Visto il tema, non era l’occasione per presentare un candidato di tanta luminosa scienza e lucidità da coprire d’ombra il candidato altrui? Sarebbe stato bene, ma non possibile. Perché se le opposizioni avessero partecipato al voto, segreto, sarebbe finita che alcuni dei loro componenti avrebbero nascostamente votato in accordo con la maggioranza. Come è già capitato per l’elezione del presidente del Senato. La decisione di non partecipare non ha quindi nulla a che vedere con l’Aventino storico, ma con il timore che taluni oppositori si avventino sull’opportunità di mercanteggiare. Desolante, oltre che deplorevole.

E perché la maggioranza non ha votato il proprio candidato, scegliendo invece la scheda bianca? Si erano già preparati a far scrivere il nome del loro uomo in tanti modi diversi, cercando così di svellere la segretezza del voto. Segno evidente di cosa ciascuno pensa del proprio compagno o camerata di banco. Ma se non si può contare sui traditori delle opposizioni non c’è ragione di cimentarsi in un simile esercizio, con il rischio di far contare i propri traditori. Quindi si va in bianco. Allora perché avevano pensato di potersi avventare su quel posto vacante? Perché serviva, a proposito dell’ammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata, un giudice empatico con le ragioni di una destra che si unisce su due cose: a. non volere il referendum; b. non volere neanche quello che hanno approvato, preferendo rinviarlo all’infinito con la scusa dei Lep. Patetico, oltre che deplorevole.

Le opposizioni evitano di votare per non cadere in tentazione e la maggioranza evita di votare qualcuno per non concedere di votare altri. Ed è sull’aria di tanta condivisa compattezza che gli uni potranno intonare il «Branca, Branca Branca…» e gli altri rispondere «Leon, Leon, Leon…». E ci vediamo al prossimo sermone sullo spirito della Costituzione e sull’importanza di farne vivere i princìpi e aggiornarne le prescrizioni.

di Davide Giacalone

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