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Meloni e Trump

Camomilla dopo il tanto atteso incontro Trump-Meloni

Il buco del progetto riforma: ora Meloni riconosce che il problema esiste e assicura che verrà affrontato al momento giusto

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Camomilla dopo il tanto atteso incontro Trump-Meloni

Il buco del progetto riforma: ora Meloni riconosce che il problema esiste e assicura che verrà affrontato al momento giusto

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Camomilla dopo il tanto atteso incontro Trump-Meloni

Il buco del progetto riforma: ora Meloni riconosce che il problema esiste e assicura che verrà affrontato al momento giusto

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Il buco del progetto riforma: ora Meloni riconosce che il problema esiste e assicura che verrà affrontato al momento giusto

Donald Trump non si disimpegnerà dall’Ucraina, assicura Giorgia Meloni nella conferenza stampa non più di fine bensì di inizio anno. Dopo il blitz a Mar-a-Lago, che tra l’altro ha spianato la strada alla liberazione di Cecilia Strada, è ragionevole ritenere la presidente del Consiglio l’interlocutrice privilegiata della Casa Bianca in Europa: certamente The Donald si rapporta più volentieri con lei che non con i vari Macron, Sánchez, Scholz. Perciò l’informazione data in un contesto ufficiale appare significativa. Per il resto, sul fronte estero, l’unico scivolone è stato il paragone tra Musk e Soros, affondo peraltro gratuito visto che sul miliardario americano aveva evitato le trappole più vistose.

Dunque soltanto camomilla in un appuntamento tanto atteso? Forse. Ma forse no. Democristianamente come ha in fretta imparato a fare, Meloni si è lasciata alle spalle le trappole su Belloni, Albania, economia, surfeggiando e mai affondando il bisturi su possibili soluzioni a breve-medio periodo. Anche l’accenno al fisco è apparso più che altro una concessione agli alleati, FI in primis, più che un impegno cogente.

Tuttavia c’è un passaggio che merita di essere considerato perché foriero di novità importanti. Sulle riforme, a partire dal premierato, la numero uno di Palazzo Chigi ha ribadito, seppur con meno enfasi di altre occasioni, la volontà di arrivare fino in fondo, augurandosi che i referendum confermativi possano svolgersi entro la legislatura. Aggiungendo un particolare rilevante: se il premierato passa, ha spiegato, sarà giusto fare una riforma elettorale che si adatti al nuovo modello istituzionale. Ma anche se il traguardo non fosse tagliato, «comunque ragioneremo» su un meccanismo di voto diverso dall’attuale.

Com’è noto, per il ceto politico di qualunque colore e dimensione la legge elettorale è pari all’aria che si respira. Una delle critiche più centrate alla legge sull’elezione diretta del capo del governo presentata dal centrodestra – nonché il buco più vistoso del progetto di riforma – riguarda esattamente il fatto che viene statuito che il premier è scelto direttamente dai cittadini senza che si sappia in che modo quella scelta avvenga, visto che non c’è alcun meccanismo elettorale annesso alla proposta di riforma. Dopo aver fatto per mesi spallucce, ora Meloni riconosce che il problema esiste e assicura che verrà affrontato al momento giusto. Ma ancora più importante è il fatto che secondo la presidente del Consiglio l’attuale Rosatellum va rivisto anche se il premierato resta nel regno dei sogni irrealizzati.

Ovviamente Meloni si guarda bene dall’entrare nel merito delle eventuali modifiche e del resto è prematuro. Tuttavia toccare quel testo significa mettere in moto un meccanismo che nessuno sa dove porta. A chi vagheggia un ritorno al proporzionale va ricordato che l’unico esempio di elezione diretta del capo del governo è avvenuto in Israele, abbinato proprio a una legge elettorale proporzionale. Il risultato è stato un finimondo di ingovernabilità e in fretta e furia l’esperimento è stato archiviato. Niente proporzionale, allora. Magari un recupero del Mattarellum, a cui sarebbe difficile opporsi se non altro per la firma che porta? Per cancellarlo, il leghista Roberto Calderoli, ministro allora come oggi, elaborò quel che lui stesso definì «una porcata»: perseverare sarebbe diabolico. Può anche essere che Meloni abbia voluto offrire una sponda all’opposizione o almeno a parte di essa: votate il premierato e siamo pronti a discutere di un nuovo sistema di voto. O forse invece si è trattato di una sottile ma puntuta minaccia verso i riottosi alleati, contando sul fatto che il consenso di FdI è solido.

Si vedrà. Però l’accenno alla legge elettorale è riferimento carsico che può produrre importanti novità negli schieramenti. Troppa politologia? Può essere. Sempre meglio delle giaculatorie sul rimpasto.

Di Carlo Fusi

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