Collaborazione e integrazione
| Politica
Se si sostiene di volere rispettare il diritto dei profughi a essere accolti, al tempo stesso impedendo gli ingressi illegittimi, posto che il sistema produttivo ha fame di lavoratori, ci si deve dotare degli strumenti per distinguere e decidere
Collaborazione e integrazione
Se si sostiene di volere rispettare il diritto dei profughi a essere accolti, al tempo stesso impedendo gli ingressi illegittimi, posto che il sistema produttivo ha fame di lavoratori, ci si deve dotare degli strumenti per distinguere e decidere
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Collaborazione e integrazione
Se si sostiene di volere rispettare il diritto dei profughi a essere accolti, al tempo stesso impedendo gli ingressi illegittimi, posto che il sistema produttivo ha fame di lavoratori, ci si deve dotare degli strumenti per distinguere e decidere
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Terminati i tripudi elettorali, superato il passaggio al Colle, esauriti i voti parlamentari preliminari, la nave governativa è varata, si smonta l’imbandieramento e si passa ai fatti. Dire di volere essere giudicati da quelli è una cosa, produrli un’altra.
Se si sostiene di volere rispettare il diritto dei profughi a essere accolti, al tempo stesso impedendo gli ingressi illegittimi, posto che il sistema produttivo ha fame di lavoratori, ci si deve dotare degli strumenti per distinguere e decidere. Ricordando che per l’immigrazione “normale” è necessario si facciano decreti-flussi adeguati. Meloni ha indicato la formula migliore: centri di raccolta e identificazione prima della partenza. Sarebbe meglio se in aree extraterritoriali, che alcune di quelle zone sono teatro di guerre. Sarebbe meglio ancora se a cura dell’Unione europea. Ma se, fin qui, non si è riusciti a fermare i trafficanti alla partenza non è per ragioni oscure, ma perché difficile. Servono accordi con i Paesi coinvolti. Già solo in Libia significa parlare più con le tribù che con i governi. Roba da politica estera, non da prefetto.
Se si afferma che il gas dall’Adriatico va preso, si rientra nel campo dell’ovvio, vista la condizione. Ma non è che l’ovvio non sia stato fatto perché si volesse far da spalla agli speculatori, bensì perché chi oggi lo propone (Meloni compresa) era contrario. Con tanto di aizzamento della deprecata (ora) “Italia del No a tutto”. Bene, ma il fatto non è dirlo, è assegnare concessioni e avviare i lavori.
Meloni non è la prima a volere la rete pubblica di telecomunicazione. Ci provò anche Renzi e prima di lui altri. Risultato: soldi buttati. A questo giro sarebbero incassati dagli attuali proprietari. Passare ai fatti significa: a. stabilire le regole del gioco; b. chiarire se le reti in concorrenza rimangono o devono essere unificate e come; c. indicare i criteri di valutazione, giusto per non pagarle come se fossero preziose, laddove talune sono scassate; d. informare il mercato su cosa succede se un proprietario non intende vendere o negoziare.
Dal discorso presidenziale è stata espulsa la flat tax, preferendo l’italiano: tassa piatta. Ma quelle delle campagne elettorali non erano flat e quella del discorso non è piatta. Sono aliquote nuove e aggiuntive, riferite a circostanze particolari. Il sistema fiscale si complica anziché semplificarsi. In quanto alla “tregua” fiscale, pur avendo una coloritura più tenue della “pace” da altri proposta, si dovranno definire i termini di quella roba che, in italiano, si chiama condono. Che è sempre una pernacchia fatta agli onesti e puntuali, che si sopporta se accompagnata da innovazioni sistemiche, mentre resta sberleffo se attuata per far cassa e scassare la credibilità statale.
Evviva la fine dell’epidemia di bonus. Mancava solo il bonus per chi propone bonus. Ma per organizzare l’assistenza a chi è veramente povero e non un travestito da povero, serve un sistema fiscale credibile. I dati dell’Irpef non fanno scopa con la realtà. E per aiutare chi cerca lavoro si deve sapere chi abbia intenzione di lavorare, il che comporta l’eliminazione dei grotteschi navigator, il superamento dei centri dell’impiego e la collaborazione con le reti private.
In vista della modifica del patto di stabilità in Ue, è bene chiarire che se si vuole (come vorremmo) più debito comune non si possono chiedere meno vincoli di bilancio. Se si vogliono più risultati, più strumenti, più fondi e più integrazione, quella roba porta con sé più vincoli. Che chi non escludeva di uscire dall’euro ora sia favorevole a maggiore collaborazione e integrazione è cosa bellissima, ma servono i fatti.
È confortante sapere che talune delle cose che si lasciarono intendere ieri non si ha intenzione di farle oggi, ma è necessario poterci credere anche domani. La nave è varata, sta in mare, il capitano ne ha il piglio, la ciurma è variopinta. Ma va fornito qualche elemento in più che non l’emozione di una reminiscenza felliniana.
Di Davide Giacalone
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