Democrazia sotto attacco
Anche di fronte al Qatargate il riflesso condizionato dei media italiani è stato quello di concentrarsi sul corrotto
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Anche di fronte al Qatargate il riflesso condizionato dei media italiani è stato quello di concentrarsi sul corrotto
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Anche di fronte al Qatargate il riflesso condizionato dei media italiani è stato quello di concentrarsi sul corrotto
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Anche di fronte al Qatargate il riflesso condizionato dei media italiani è stato quello di concentrarsi sul corrotto
L’impulso a guardare i fatti dal buco della serratura, concentrandosi sui vizi privati ritenendo le pubbliche virtù siano inesistenti o quasi, spargendo a quintali retorica intinta nello sdegno che fa tanto «Chissà dove andremo a finire»: ecco, quello non manca mai. Infatti anche di fronte al Qatargate il riflesso condizionato dei media italiani è stato concentrarsi molto sul corrotto – con il consueto corredo di vacanze strabilianti, piscine con acqua profumata e resort a venti stelle – e molto meno sul corruttore. E al dunque grondando stupore quando sulla ribalta irrompono servizi segreti e affaristi pronti a fare pastette con europarlamentari rampanti e pseudo sconosciuti, comunque abili a capire dove stipare in casa i sacchi di dollari o di euro. Fino a quando la presidente del Parlamento non grida la sua rabbia bucando la bolla di vaghezza: «Siamo sotto attacco». Giusto. Esattamente da chi e soprattutto perché? A questo punto gli interrogativi si moltiplicano; i complottisti si inebriano nei loro meandri mentali dove le domande sono sempre più affascinanti delle risposte e i confini tra vero e verosimile si affievoliscono, fin quasi a scomparire.
Proviamo a fare chiarezza. Bisogna aspettare le indagini e accettare la presunzione di innocenza. Bisogna farlo perché sono i pilastri dello Stato di diritto che, in questa Europa ogni volta bistrattata ma che continua a difenderli, restano i bastioni sui quali è costruito il sistema democratico. Un sospetto: ma non è che l’obiettivo di fondo dei corruttori sia proprio quello di demolire quelle certezze, di assaltare la cittadella dei diritti per raderla al suolo e allinearla ai regimi più repressivi e autocratici al mondo? In altri termini: non sarà che – spargendo valuta nei salotti degli onorevoli – vari manovratori occulti e no, Stati canaglia e democrature puntino a condizionare, indirizzare e al momento buono ricattare una delle istituzioni europee, forse la più permeabile (ma non è detto: a qualcuno dei burocrati della Commissione fischiano le orecchie…), la più esposta, la più vicina al sentiment dei cittadini visto che è l’unica eletta direttamente?
È un sospetto che fino a poco tempo fa appariva fantascientifico e che invece adesso le cronache rendono drammaticamente attuale. Dopo l’assalto a Capitol Hill per il quale la Commissione speciale statunitense chiede l’incriminazione di The Donald, dopo quello scempio al tempio della democrazia americana, l’Europa è rimasta l’unico piedistallo dove le regole dell’equilibrio tra poteri possono poggiare senza affondare; il miglior antidoto alle ambizioni smodate di leader ricchi di denaro e poveri di rispetto; l’architrave dell’edificio di governo peggiore che c’è a patto di non considerare tutti gli altri, secondo la lezione di Churchill. È davvero così strano, così irrealistico, così lunare arguire che chi della democrazia non sa che farsene e la considera zavorra da eliminare cerchi di contaminarla fino a debellarla? Per chi vive nel Paese dei balocchi sì, per tutti gli altri no.
Vedremo dove portano le indagini e rispetteremo i diritti di tutti gli indagati. È giusto e opportuno. Ma intanto, sul piano politico, non si potrebbe avviare un’operazione di bonifica, per esempio spedendo a Strasburgo non i riciclati o quelli che non hanno trovato una adeguata poltrona in Patria bensì personale politico scelto tra le migliori energie, visto che il compito che ha è di difendere le istituzioni democratiche da intromissioni così micidiali? Ci sono due anni prima che i cittadini europei tornino alle urne. Se riprende piede quella che una volta si chiamava “volontà politica” forse ce la possiamo fare.
Di Carlo Fusi
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