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Democrazia Usa e non getta

Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill il 33% degli americani giustifica l’uso della violenza contro il governo, mentre il 64% considera a rischio la democrazia. Riconsiderando le candidature degli ultimi anni è evidente quanto gli USA siano a corto di personale forte.
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Democrazia Usa e non getta

Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill il 33% degli americani giustifica l’uso della violenza contro il governo, mentre il 64% considera a rischio la democrazia. Riconsiderando le candidature degli ultimi anni è evidente quanto gli USA siano a corto di personale forte.
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Democrazia Usa e non getta

Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill il 33% degli americani giustifica l’uso della violenza contro il governo, mentre il 64% considera a rischio la democrazia. Riconsiderando le candidature degli ultimi anni è evidente quanto gli USA siano a corto di personale forte.
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Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill il 33% degli americani giustifica l’uso della violenza contro il governo, mentre il 64% considera a rischio la democrazia. Riconsiderando le candidature degli ultimi anni è evidente quanto gli USA siano a corto di personale forte.
Il problema non era il cornuto entrato a Capitol Hill, ma il veleno rimasto nel sangue della democrazia statunitense. Il 33% degli americani ritiene che sarebbe giustificabile l’uso della violenza contro il governo, il che rende ragionevole il fatto che un altro 64% consideri a rischio la democrazia. E questo avviene nel Paese guida delle democrazie, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Per quanto sembri paradossale, è la scomparsa di un nemico esterno ad avere fatto crescere l’idea che il nemico sia all’interno. Solo che la prima cosa è una errata percezione, mentre la seconda è già di suo un problema grave. Le democrazie possono anche essere polarizzate, possono dividersi e fronti contrapposti equivalersi, ma non reggono a lungo all’idea che gli avversari siano dei nemici della convivenza civile. E serve a nulla che gli uni lo pensino degli altri, vicendevolmente. Trump fece da catalizzatore di una rivolta contro il ‘sistema’, fu il capo populista capace di chiamare a raccolta sentimenti talora opposti. Si lascino da parte le considerazioni sull’assurdità di avere eletto a paladino degli anti sistema uno che in quello era cresciuto, il fatto resta. E non lo si archivia sperando che qualche cosa impedisca a Trump di ricandidarsi, perché questo lo consacrerebbe vincitore. Vero è che il suo ultimo colpo fu sventato grazie a una scelta del vertice repubblicano, il suo partito, tanto del vice presidente Pence che dei governatori rifiutatisi di mettere in dubbio la regolarità del voto, ma da allora a oggi sono proprio loro ad avere perso la presa sul partito, mentre è cresciuta quella di chi incita alla resistenza contro i complotti. E si lascino da parte anche le ovvietà, come quella che sono i complottardi a dar dei complottisti agli altri, che sono gli avversari della democrazia a dar degli eversori agli altri: resta il fatto. E quel fatto non può essere discusso in tribunale o in una commissione d’inchiesta perché qualsiasi verdetto o risoluzione saranno vissuti come conferma che il complotto c’è. Una allucinazione. Che a sua volta è figlia di un drammatico impoverimento della classe dirigente. Trump vinse contro un candidato che era la moglie di un ex presidente, poi perse contro chi era il vice di un altro presidente. La democrazia, lontano dalle guerre, non seleziona personale forte. Ma non c’è solo la politica. Gli affaristi cinici e avidi sono parte del mondo normale, mentre gli ultramiliardari che s’atteggiano a guru di un mondo diverso sono una patologia. Si mostrano visionari, ma modellano un immaginario distorto. Il che relega il buon senso e la ragionevolezza fra il vecchiume neanche degno d’antiquariato. Certo non possiamo augurarci una guerra per selezionare nuovo sangue, perdendolo. Ma la fiacchezza democratica è troppo forte per far finta di non vederla. di Gaia Cenol

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