Oggi in Parlamento più che fare i conti con il trasformismo bisogna farli con la transumanza dato che è molto nutrito il gruppo dei fuoriusciti. Eppur si muovono, peccato non sappiano in che direzione andare.
«Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?». Con queste parole nel 1882 Agostino Depretis, esponente della sinistra storica, apriva le porte politiche al trasformismo italiano, il progetto di coinvolgere nel sostegno a un governo progressista anche chi progressista non lo era mai stato ma in quel momento ne condivideva le proposte politiche per la nazione.
Ebbene, dimenticate Depretis. E scordate anche il significato profondo del trasformismo storico, che ha avuto tanti difetti ma anche qualche pregio. Oggi, nel 2021 quasi 2022, alla vigilia del voto per eleggere il nuovo capo dello Stato, in Parlamento più che con il trasformismo si tratta di fare i conti con la transumanza.
Dal 1992 a oggi, dopo il crollo della Prima Repubblica e dei partiti che in poco meno di mezzo secolo avevano ricostruito l’Italia, il numero dei cambiatori di casacca è aumentato a dismisura. Erano pochissimi prima del 1992, sono stati centinaia e centinaia dopo. Se il progetto ideale non è più il fine politico, ecco infatti che lo diviene la sopravvivenza elettorale, che nessun partito ormai è in grado di assicurare. Perché i partiti non ci sono più. Una scusa, persino un appiglio di coerenza, per uscire da un gruppo e andarsene in un altro o addirittura mettersi in proprio – è di gran moda di questi tempi la parola autonomia, anche declinata al suo plurale – si trova sempre.
L’aspetto tragico, per la politica come l’abbiamo conosciuta nel Novecento, è che dietro vi è pochissima relazione con i propri elettori. E così può accadere che un Movimento, i 5 Stelle, che aveva fatto del divieto morale di saltare il fosso una ragione ontologica prima ancora che politica, si trovi con tanti ex. Loro, gli ex, dicono che è cambiato il Movimento (e di certo cambiato in questi anni lo è) ma il vero tema è la fragilità. La fragilità di una risposta politica che si voleva moralista e inderogabile – anti- casta per ordine e disciplina – e che si è ritrovata invece a essere tutto e il suo contrario. I grillini non sono i soli ad aver subìto transfughi in questi anni.
È un gruppo nutrito quello dei fuoriusciti, al punto da poter diventare decisivo per eleggere il nuovo capo dello Stato. Il tempo sta scadendo e nel 2023 si andrà al voto per le politiche, con meno parlamentari da eleggere. Perché il Parlamento li ha tagliati. Anche questo un bel pungolo al caos anziché alla stabilità. Dovessimo scegliere un epigramma per questa politica italiana scombiccherata, nessuno sarebbe più adatto di “eppur si muovono”. Peccato si muovano senza sapere dove andare. Il che non è certo un gran programma. Anzi.
di Massimiliano Lenzi
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