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Parlamento italiano

Il cimento delle riforme costituzionali

Il parlamentarismo all’italiana ha subìto a partire dalle elezioni del settembre scorso un’evoluzione: non c’è più un primus inter pares, ma un primus solus
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Il cimento delle riforme costituzionali

Il parlamentarismo all’italiana ha subìto a partire dalle elezioni del settembre scorso un’evoluzione: non c’è più un primus inter pares, ma un primus solus
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Il cimento delle riforme costituzionali

Il parlamentarismo all’italiana ha subìto a partire dalle elezioni del settembre scorso un’evoluzione: non c’è più un primus inter pares, ma un primus solus
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Il parlamentarismo all’italiana ha subìto a partire dalle elezioni del settembre scorso un’evoluzione: non c’è più un primus inter pares, ma un primus solus
Non appena entrata con il giuramento nell’esercizio delle sue funzioni, per scrupolo Giorgia Meloni presumibilmente ha riletto l’articolo 71 della Costituzione. Una disposizione che conferisce l’iniziativa legislativa al governo, a ciascun membro delle Camere, agli organi ed enti ai quali sia attribuita da legge costituzionale, nonché a cinquecentomila elettori. Peraltro, senza limitazione alcuna. Ergo, deve aver concluso la presidente del Consiglio, senza ombra di dubbio anche il governo è legittimato a presentare alle Camere un disegno di legge di revisione costituzionale Stando così le cose, il ministro per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati ha fatto un primo giro d’orizzonte con i partiti per verificare come la pensassero in proposito. Ma dopo questo primo giro a gennaio, deve aver pensato che dovesse passare la nottata. E così, dopo una pausa di riflessione, ha annunciato che a giugno avrebbe presentato uno schema di disegno di legge ad hoc. A questo punto, però, Meloni deve averci ripensato. E con un gioco di prestigio si è sdoppiata: presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, capo della maggioranza parlamentare nella biblioteca del presidente della Camera dei deputati, dove martedì ha ricevuto separatamente le delegazioni dei partiti di opposizione.  Perché questo cambio di schema di gioco? Innanzitutto perché ha fatto tesoro dei fallimenti del passato. Sia il disegno di legge costituzionale Calderoli-Berlusconi del 2005, sia quello Boschi-Renzi del 2016 erano iniziative governative. Sono stati approvati in solitudine in Parlamento, a prescindere dalle opposizioni. Ma poi sono stati affossati dal popolo sovrano per via referendaria. Perciò Meloni deve aver pensato che errare è umano ma perseverare sarebbe diabolico. E se il governo può essere d’intralcio al successo della revisione della forma di governo, ben venga il dialogo in Parlamento. Piaccia o no, Meloni può affettare al riguardo una calma olimpica. Perché non guarda all’oggi ma al domani più o meno lontano. Come minimo, alla prossima legislatura. Difatti una riforma istituzionale è già in atto. Non a caso si sostiene che Giorgia non sia l’inquilina ma la padrona di Palazzo Chigi. Insomma, il parlamentarismo all’italiana ha subìto a partire dalle elezioni del settembre scorso un’evoluzione. Adesso a Palazzo Chigi non c’è più un primus inter pares, come quasi sempre è accaduto in passato, ma un primus solus. E cioè un presidente del Consiglio che tra l’altro ha il potere di scioglimento in tasca. Difatti in questa legislatura non ci sono alternative. E il signore del Colle dovrà trarne le conseguenze. Mentre il potere di revoca dei ministri resterà un pio desiderio fintanto che avremo governi di coalizione. Per il vero, l’incipit non è stato incoraggiante. Solo Calenda e Renzi non hanno detto apertamente di no. Mentre i no di Schlein e di Conte hanno qualcosa di surreale perché Meloni non ha per il momento messo sul tappeto una sua ricetta precisa. A questo punto ci si dovrà attenere al motto dell’Accademia del Cimento. Occorrerà provare e riprovare. E la sede più idonea appare una Commissione bicamerale con poteri a fisarmonica presieduta da una personalità autorevole che favorisca il dialogo tra i partiti. Come per l’appunto accadde all’Assemblea costituente. Solo come extrema ratio, per debellare l’ostruzionismo, la maggioranza farà da sola. A suo rischio e pericolo. Di Paolo Armaroli

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