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Il Green Deal

Il Green Deal, l’occasione

L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: si è astenuto. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo
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Il Green Deal, l’occasione

L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: si è astenuto. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo
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Il Green Deal, l’occasione

L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: si è astenuto. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo
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L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: si è astenuto. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo
Quel che sostenne ieri chi oggi governa è noto, con un evidente taglio che se proprio non si vuol definire antieuropeista (e lo era) è stato un tono continuamente polemico e avversativo. Circa quel che dice oggi si può rimproverare l’incoerenza, ma è più utile benedirla. Guardiamo al futuro, a quel che si può costruire. Non soltanto perché è più utile che rotolarsi nel trastullo polemico, ma perché si presenta una grande occasione per l’Italia, per l’Unione europea e per i governanti (non solo italiani) che furono o sono euroantipatizzanti. Il caldo luglio presente apre il semestre alla conclusione del quale cessa la sospensione del Patto di stabilità. Non è che poi torna la presunta austerità, la cui sostanza rimane oscura in una realtà in cui ogni anno lo Stato spende più di quel che incassa, devolvendo soldi nel pagamento di interessi sul debito che non sono un merito per cui il debito stesso si possa aumentarlo ma una buona ragione per contrarlo. Come, difatti, ci si propone di fare. L’inflazione aiuta lo Stato indebitato, perché diminuisce il valore dei titoli già emessi e fa aumentare il gettito dell’Iva, ma infilza i consumatori e i risparmiatori, oltre a rendere necessario un rialzo dei tassi d’interesse, che continuerà. Si spera non a lungo. Dal primo gennaio 2024 torna in vigore il vecchio patto o una sua versione modificata. Di quali siano le versioni alternative ci siamo già occupati. Mentre pensare di usare il Mes come strumento negoziale è un’idea così sciocca da potere produrre soltanto sciocchi contentini declamatori. Conditi dal compatimento. L’occasione è data dal Green Deal. Il governo italiano (quello in carica) non si è opposto: s’è astenuto. Chiede una cosa rilevante ma non decisiva, ovvero l’inserimento dei carburanti bio fra quelli utilizzabili. Lo sfondo del Green Deal non è bucolico ma produttivo, spingendo allo sviluppo di nuovi processi produttivi e tecnologie. Che sia un interesse comune europeo è condiviso da tutti. Che alcuni Paesi Ue lo rispettino e altri no è demenziale, come magistralmente argomentato da Mario Draghi nella sua “Martin Feldstein Lecture” (cosa aspettano i Paesi Ue e le forze politiche europee a puntare su di lui per un nuovo equilibrio istituzionale dell’Unione?). Il problema dunque non è il cosa, è solo marginalmente il quando, ma diviene: con quali soldi? Perché è vero che si tratta di investimenti che saranno produttivi di ricchezza, ma richiedono comunque forza finanziaria immediata. Ed è qui l’occasione: finalità, innovazioni e interessi europei giustificano debito comune europeo. Al tavolo della riforma del Patto di stabilità è non soltanto inutile ma autolesionista portare la gnagnera italiana dell’“elasticità”, consistente nel potere continuare a far spesa in deficit che poi aumenta il nostro svantaggio. E neanche è sensato che dalla spesa da contenere sia esclusa questa o quella voce (tipo difesa o investimenti), perché tanto i soldi – sul mercato – andranno trovati e pagati per quanti se ne chiedono. A quel tavolo si porti il Green Deal, senza cadere nella trappola per allocchi che sia di sinistra o di destra (e suggerendo a chi si crede ficcante di piantarla dall’usare “gretini”, altrimenti diventa una firma). È un obiettivo? Bene, organizziamoci per non mancarlo. Questo aiuterebbe l’Ue a fare un ulteriore e importante passo avanti nella direzione dell’integrazione e della cancellazione degli squilibri esistenti, l’Italia a mettere in maggiore sicurezza il proprio imponente debito pubblico e la destra che governa a porre un problema che sappia guardare al futuro, anziché sforzarsi – con scarsa credibilità – di conciliare il passato con il presente. Alle stesse elezioni europee si potrà così portare un tema, in ciascun Paese, che abbia a che vedere con la realtà e non evochi soltanto, per maggioranze e opposizioni, i temi della paura o della ripulsa. Le classi dirigenti che non si forgiano nelle guerre (fortunatamente) crescono affrontando queste sfide.   di Davide Giacalone

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