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Il Pd rinuncia a parlare con l’elettorato non estremista

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L’errore strategico, effetto di una vera e propria mutazione genetica, che il Pd sta compiendo in questa fase consiste nell’abbandono dell’intuizione che paradossalmente era alla base… del partito stesso

Il Pd rinuncia a parlare con l’elettorato non estremista

L’errore strategico, effetto di una vera e propria mutazione genetica, che il Pd sta compiendo in questa fase consiste nell’abbandono dell’intuizione che paradossalmente era alla base… del partito stesso

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Il Pd rinuncia a parlare con l’elettorato non estremista

L’errore strategico, effetto di una vera e propria mutazione genetica, che il Pd sta compiendo in questa fase consiste nell’abbandono dell’intuizione che paradossalmente era alla base… del partito stesso

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AUTORE: Mario Lavia

L’errore strategico, effetto di una vera e propria mutazione genetica, che il Pd sta compiendo in questa fase consiste nell’abbandono dell’intuizione che paradossalmente era alla base della fondazione del Partito democratico stesso: quella di parlare a tutta la società italiana, cercando tendenzialmente di rappresentarla nel suo insieme. È chiaro che per fare questo occorre un progetto serio e non la mera propaganda, ma quale sia la proposta generale della sinistra italiana e del Pd non si sa. Si insegue Giorgia Meloni con le armi delle battute polemiche, degli slogan. Ma di positivo poco o nulla.

Di “partito della Nazione”, espressione che voleva dire proprio questo, parlò ormai vent’anni fa Alfredo Reichlin, che era stato uno dei più intelligenti dirigenti del Pci e tra gli estensori del Manifesto dei valori del Pd redatto nel 2008 con Pietro Scoppola e altri. Reichlin spiegò che «il ruolo di un partito diventa vincente o perdente, grande o piccolo, se assolve a una funzione “nazionale”. Un partito è un’idea del Paese che va al di là dell’immediato. È un disegno. Questo è un par-ti-to» scandì. Dentro questa idea generale si collocava l’obiettivo appunto di un grande partito riformista in grado di raggiungere numeri tali da poter quasi naturalmente attrarre alleanze di vario tipo. Con questa impostazione il Pd prese il 33% al suo esordio elettorale nel 2008, il risultato più alto raggiunto in elezioni politiche.

La strategia è tornata quella tradizionale

Quasi vent’anni dopo non si parla più in questi termini. La strategia è tornata quella tradizionale: un partito di sinistra del 20-25% alleato con vari altri soggetti. Non più egemone o baricentro ma un pezzetto di un mosaico inevitabilmente instabile. Messe così le cose, il partito di Elly Schlein non si pone più il problema della conquista del ‘centro’ della società perché questo compito è delegato ad altri (a chi non è chiaro). Lui, il Pd, deve ‘soltanto’ riportare al voto un generico sentiment di sinistra: in poche parole, una Avs più grande.

Con un candidato a Palazzo Chigi – ha specificato Dario Franceschini – espressione di questa radicalità di sinistra (o populista nella versione Conte), perché non è tempo di figure moderate per vincere le elezioni. Verrebbe da dire che la linea di “Dario” è: a Meloni, Meloni e mezzo. Cioè secondo lui la sfida è tra i due radicalismi, di destra e di sinistra. E chi rifiuta questo schema si arrangi: o meglio, si astenga. Ma è sicuro, l’ex braccio destro di Franco Marini all’epoca del Partito popolare, che non sia controproducente per la sinistra crogiolarsi nella sua autosufficienza? Ed è sicuro Franceschini che un elettore ‘normale’, non di sinistra ma comunque ostile alla Meloni, sia attratto da un/una leader radicale?

Questo gruppo dirigente del Pd ritiene che la società italiana sia refrattaria a una politica razionale, non urlata, non spettacolarizzata

Questo gruppo dirigente del Pd evidentemente ritiene che la società italiana – entro la quale ovviamente c’è di tutto – sia ormai refrattaria a una politica razionale, non urlata, non spettacolarizzata: la gente normale credono che non esista più, scacciata dal “popolo della Rete”. È un abbaglio. E anche ammesso che fosse così, il dovere di un partito serio non è inseguire gli isterismi ma dare un ordine alle mille inquietudini del Paese. Di fronte alla torsione populista della sinistra italiana chissà che direbbero Alfredo Reichlin e Pietro Scoppola: la loro visione di un partito nazionale, di governo, in grado di raccogliere consensi potenzialmente da ogni parte della società è svanita. Lo spartito è cambiato. E non sembra produrre chissà quale sinfonia.

di Mario Lavia

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