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Il premierato perduto

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Il premierato – “madre di tutte le riforme” – vagheggiato da Meloni potrebbe non vedere la luce. Ecco perché

Il premierato perduto

Il premierato – “madre di tutte le riforme” – vagheggiato da Meloni potrebbe non vedere la luce. Ecco perché

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Il premierato perduto

Il premierato – “madre di tutte le riforme” – vagheggiato da Meloni potrebbe non vedere la luce. Ecco perché

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Da Portofino Ignazio La Russa il 19 settembre dichiara: «Credo che entro la fine della legislatura potrà arrivare la riforma del premierato. Quella è la riforma delle riforme, la più importante da fare perché significa dare ai cittadini la possibilità e la certezza di scegliere». Poi il presidente del Senato aggiunge: «Io avrei preferito scegliere il capo della Repubblica, tipo Stati Uniti. Però va bene anche il premierato. Così elimini quella che per tanti anni è stata la regola delle elezioni: gli italiani votavano e poi al governo ci andava uno di quelli che si erano combattuti in campagna elettorale perché non c’erano i numeri».

Lo stesso giorno gli fa eco da Roma Arianna Meloni. Il capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia scrive al “Foglio”: «La riforma del premierato serve proprio a superare queste degenerazioni (la durata dei governi come i gatti in tangenziale, nda.) in maniera strutturale, sarà in grado di garantire che il responso delle urne sia perfettamente aderente alla nascita del nuovo governo, rispettando così l’articolo 1 della Costituzione che attribuisce la sovranità al popolo». E se tutte queste fossero promesse da marinaio? Dopotutto, spero promitto e iuro vogliono sempre l’indicativo futuro. Non occorre scomodare Lorenzo de’ Medici per sapere che del doman non c’è certezza.

Per cominciare, l’iter del disegno di legge costituzionale ad hoc ricorda il passo del gambero. In effetti, procede per modo di dire. Questa, la consegna: avanti, piano, quasi indietro. Difatti il premierato è presentato da Giorgia Meloni al Senato il 15 novembre 2023. Quasi due anni fa. La commissione Affari costituzionali lo discute dal 22 novembre al 24 aprile 2024 per la bellezza di una trentina di sedute. L’assemblea di Palazzo Madama a sua volta lo discute dal 7 maggio al 18 giugno 2024.

Ma poi alla commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati anziché marciare, il premierato marcisce. La commissione lo esamina una sola volta, il 4 luglio 2024. Una toccata e fuga. Perché poi – dal 16 luglio 2024 al 16 luglio 2025, per un anno intero – procede a una serie infinita di audizioni di esperti. Quasi una perdita di tempo, con tutto il rispetto per gli auditi, non avendo la commissione nulla di meglio da fare. Nella consapevolezza, alla scuola di Eduardo, che debba passare ‘a nuttata.

Ma ‘a nuttata sarà lunga. Perché alla Camera il centrodestra se la prenderà comoda. A ragion veduta, si capisce. Attuerà un paradossale ostruzionismo di maggioranza. Per usare la famosa locuzione impiegata ai tempi suoi da Piero Calamandrei. Dovrà prima apportare opportune correzioni a un testo che lascia parecchio a desiderare. Per poi rimandare lento pede il testo al Senato affinché lo approvi sempre in prima lettura. Di modo che la seconda lettura si concluda poco prima della fine della legislatura. Con il risultato che il referendum confermativo si terrebbe – legge n. 352 del 1970 alla mano – solo parecchi mesi dopo. E se per ipotesi dovesse prevalere il no, Meloni cadrebbe in piedi dopo aver vinto le elezioni politiche.

Ma davvero le cose stanno così? Ho l’impressione che, strada facendo, il premierato possa diventare il classico figlio di nessuno. L’elezione popolare diretta del primo ministro non può infatti piacere a chi ha scarse probabilità di insediare a Palazzo Chigi un proprio esponente. Non è entusiasta Matteo Salvini, anche perché all’autonomia differenziata ormai crede solo il ministro Roberto Calderoli. Ed è freddino anche Antonio Tajani, perché più sale Meloni e più scendono i suoi alleati. Ma soprattutto non ha interesse al premierato l’attuale presidente del Consiglio. Prima di tutto perché il premierato di fatto lo ha già realizzato. E poi perché un secondo premierato – guardate un po’ quanta grazia – di qui a poco potrebbe calcare la scena grazie a una legge elettorale con l’indicazione del candidato alla poltrona di Palazzo Chigi.

Con un referendum confermativo svolto nella prossima legislatura, il premierato – «madre di tutte le riforme» – entrerebbe in vigore solo nel 2032. Perché mai Meloni, come una caritatevole dama di san Vincenzo, dovrebbe favorire un’eventuale vittoria delle sinistre? E perché mai nel referendum dovrebbe mettere la faccia sul premierato, con il rischio di una bocciatura dalla quale uscirebbe ammaccata in quanto smentirebbe la sua fama d’invincibile? Come Giulio Cesare, lei potrebbe dire «Veni vidi vici». Ecco perché il premierato vagheggiato da Meloni potrebbe non vedere la luce. Parce sepulto.

di Paolo Armaroli

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