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Intervista sempre, propaganda mai

Chi sostiene che non si sarebbe dovuto intervistare Lavrov dice una scemenza. Il vero problema è la scelta di non controbattere, con fermezza usando la realtà dei fatti, la pura propaganda di Mosca.
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Intervista sempre, propaganda mai

Chi sostiene che non si sarebbe dovuto intervistare Lavrov dice una scemenza. Il vero problema è la scelta di non controbattere, con fermezza usando la realtà dei fatti, la pura propaganda di Mosca.
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Intervista sempre, propaganda mai

Chi sostiene che non si sarebbe dovuto intervistare Lavrov dice una scemenza. Il vero problema è la scelta di non controbattere, con fermezza usando la realtà dei fatti, la pura propaganda di Mosca.
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Chi sostiene che non si sarebbe dovuto intervistare Lavrov dice una scemenza. Il vero problema è la scelta di non controbattere, con fermezza usando la realtà dei fatti, la pura propaganda di Mosca.
Qualche considerazione sull’intervista al ministro degli Esteri russo Lavrov, trasmessa domenica sera nel programma Zona Bianca di Rete 4. Innanzitutto, si tratta di un clamoroso scoop e con altrettanta certezza il numero due di Vladimir Putin ha detto un sacco di mostruosità e balle. Su questi due punti è inutile soffermarsi, tanto sono solari. Come in qualsiasi attività umana, anche nel giornalismo nulla è più potente dell’invidia generata dal successo altrui, imperdonabile agli occhi di chi avrebbe fatto qualsiasi cosa per trovarsi al posto del conduttore Mediaset. Per essere più chiari, chi va dicendo che non dovrebbe essere consentito intervistare Lavrov dice una sciocchezza e una bugia, perché chiunque faccia questo mestiere farebbe carte false pur di avere un’opportunità simile. Insomma, chi direbbe di No a un’intervista a Vladimir Putin? Suvvia… Il problema è che davanti alla pura propaganda, alle bugie conclamate, alle mostruosità e al ribaltamento della realtà andrebbe posta con fermezza e serenità la verità dei fatti. Non si tratta di mettersi a litigare o porsi in atteggiamento di superiorità – tipico del giornalista ‘star’, convinto di essere lui il protagonista e non l’intervistato – o evocare il mitologico “contraddittorio“, che resta solo un comodo paravento per chi vorrebbe mettere il bavaglio all’avversario politico (non stiamo parlando solo dell’intervista a Lavrov, ma di qualsiasi colloquio con leader, personaggi divisivi e così via). Si tratta di interloquire con fermezza, interrompere e far notare, sottolineare e ribattere dati alla mano, tutte le volte necessarie, l’assurdità di ciò che si sta ascoltando. Quando si arriva a evocare Adolf Hitler, pur di bollare come “nazista“ il presidente ucraino Volodymyr Zelenski, non si può restare in silenzio e far fare allo scherano dello zar quello che vuole. È un errore di gravità inaudita. È inaccettabile che non si pronunci mai la parola “guerra“, nella più clamorosa negazione della realtà che si ricordi a livello comunicativo negli ultimi vent’anni. Non farlo notare mortifica la libertà che il nostro mondo concede anche chi ne è un nemico dichiarato nei fatti e nelle parole. Un’intervista del genere, per sua natura, è una delle imprese più complicate che possano toccare a un giornalista. Non c’è un manuale a cui attenersi, tutto ciò che si può fare è rifiutare la recita precostituita e ottenere che l’intervistato risponda o almeno ascolti qualsiasi domanda. In caso contrario, l’occasione della vita professionale si trasforma in un’auto trappola e soprattutto in un’opportunità solo per chi ha l’unico interesse di far propaganda, intorpidire le acque e nascondere le proprie responsabilità. Purtroppo, è quello che è accaduto domenica sera. di Fulvio Giuliani

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