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Italia eccezione tra i governi europei: altrove Salvini sarebbe fuori, Schlein dentro

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Politici antieuropeisti alla stregua di Matteo Salvini sono isolati e all’opposizione molti Paesi, mentre i socialisti come Elly Schlein sostengono esecutivi centristi

Italia eccezione tra i governi europei: altrove Salvini sarebbe fuori, Schlein dentro

Politici antieuropeisti alla stregua di Matteo Salvini sono isolati e all’opposizione molti Paesi, mentre i socialisti come Elly Schlein sostengono esecutivi centristi

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Italia eccezione tra i governi europei: altrove Salvini sarebbe fuori, Schlein dentro

Politici antieuropeisti alla stregua di Matteo Salvini sono isolati e all’opposizione molti Paesi, mentre i socialisti come Elly Schlein sostengono esecutivi centristi

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Leader politici antieuropeisti alla stregua di Matteo Salvini (e con un peso elettorale molto più importante del suo) sono isolati e all’opposizione in Spagna, Germania, Francia, Polonia, Austria. Leader politici dell’area socialista (di cui fa parte Elly Schlein) sostengono o fanno parte come junior partner di governi centristi in Germania, Francia, Austria, Polonia. Si tratta di Paesi con sistemi elettorali fra loro diversi, accomunati però da un’identica preoccupazione. Tenere fuori dalla stanza dei bottoni il Salvini tedesco, polacco, austriaco o francese.

È il mainstream delle democrazie dell’Europa centrale. È l’european way of building nation. A occhio nudo potrebbe sembrare l’inveramento di quell’autoritarismo evocato nel Manifesto di Ventotene. Ovvero uno strumento ineluttabile per costruire l’Europa federale, citato ad arte da Giorgia Meloni per oscurare il nocciolo di quel documento. Ma a guardare più da vicino si coglie una verità più semplice. L’assedio alla democrazia da parte delle autocrazie si fa asfissiante. E le quinte colonne di Putin e Trump, sostenute dallo strapotere tecnologico di Musk, sono all’opera per trasformare in incubo il sogno europeo.

I Paesi sopra citati non si sono limitati a scegliere la via europea per rafforzare la difesa e la sicurezza nazionale. Hanno fatto di più. Hanno costruito maggioranze al loro interno avendo cura di escludere le forze antisistema. Anche dove (è il caso dell’Austria) erano forze di maggioranza relativa o (come in Germania) il secondo partito più importante. Tutti i governi di centro sono resi possibili dalla disponibilità dei partiti socialisti. A loro volta impegnati a isolare le forze neopopuliste alla loro sinistra (è il caso della Germania e della Francia).

Sotto questo aspetto l’Italia costituisce un’anomalia. E le politiche estera ed europea – con lo strabismo che colpisce in egual misura maggioranza e opposizioni – ne sono la conferma. Il cieco ossequio a un bipolarismo manicheo le cui regole si vorrebbero scolpite nel marmo tiene in piedi due coalizioni al loro interno profondamente disomogenee. Le forze europeiste sono disperse nei due schieramenti, con il risultato di avere uno scarso peso nell’elaborazione della politica europea. È il caso di Forza Italia e del Pd. Partiti che in Europa appartengono a due gruppi che sono alleati nei principali Paesi dell’Unione in cui si è data prevalenza all’opzione europeista rispetto alle convenienze di partito.

Meloni è al centro del guado. Lì trattenuta in parte dal proprio retaggio politico, in parte dalla necessità di non lasciare troppo spazio al controcanto trumpiano di Salvini. Da quella posizione scomoda (e tuttavia ancora redditizia in termini elettorali) Meloni controlla con qualche affanno le sempre più frequenti fughe in avanti del leghista, con tutta l’infantile baldanza che Salvini ci mette. Senza per questo sacrificare il rapporto decisivo con Forza Italia. Tajani sa di essere una carta preziosa nella strategia europea del governo. Circostanza che lo autorizza a repliche via via più pungenti verso l’alleato leghista («un partito di quaquaraquà»). Il rischio per lui è di sentirsi in ciò appagato e di esaurire la sua funzione nel ruolo di ‘garante’ in Europa. Rinunciando però a una presenza più incisiva nelle strategie dell’esecutivo.

Se il fragile mosaico del centrodestra sta in piedi è anche grazie a un atout insperato che gli viene dalla confusione politica in cui si è infilato il Pd. Dal voto di Strasburgo su ReArm Europe è riemerso un partito lacerato. Costretto a barcamenarsi fra la deriva populista e putiniana di Conte e i socialisti saldamente europeisti e ‘riarmisti’. Il Pd di qualche anno fa, stabilmente insediato nel mainstream europeo, non avrebbe esitato a mettere in mora il centrodestra. Denunciandone le contraddizioni in tema di riarmo e sicurezza.

Su quel terreno le insidie immediate sono però più numerose delle opportunità future. Per chi ha scelto di essere «ostinatamente unitaria» a dispetto degli sberleffi ricevuti quotidianamente da Conte, non è facile abbracciare e spiegare un repentino cambio di rotta. Né sembra di gran giovamento l’idea di Franceschini di «marciare divisi per colpire uniti». Senza un minimo comune riferimento programmatico non si va troppo lontano. Si rischia di marciare divisi e arrivare stremati. E le responsabilità di Schlein verso il Paese sono diverse ma non inferiori a quelle di Meloni.

Di Massimo Colaiacomo

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