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La sconfitta di Giorgia Meloni

La sconfitta di Giorgia Meloni

La sconfitta di Giorgia Meloni, ancor più che del governo. Ecco quali sono le ragioni che hanno condotto alla sconfitta
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La sconfitta di Giorgia Meloni, ancor più che del governo. Ecco quali sono le ragioni che hanno condotto alla sconfitta
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La sconfitta di Giorgia Meloni, ancor più che del governo. Ecco quali sono le ragioni che hanno condotto alla sconfitta
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La sconfitta di Giorgia Meloni, ancor più che del governo. Ecco quali sono le ragioni che hanno condotto alla sconfitta
Si tratta di una sconfitta. Di Meloni ancor più che del governo. Ci sono delle ragioni che hanno condotto alla sconfitta. Conoscerle è importante, ma servirebbe a nulla utilizzarle come scuse. Quel che conta è il risultato. Semmai si tratta di capire se si tratta di una battaglia o di una guerra persa. Un deficit assai più alto di quanto assicurato dallo stesso governo è certamente un problema. Il deficit più alto quest’anno comporta un debito più alto l’anno prossimo, che porta con sé maggiore spesa per interessi, vale a dire meno soldi da potersi spendere per scuole e ospedali e/o maggiore pressione fiscale. In ogni caso significa meno libertà di spesa e meno possibilità di sgravi. Come aveva correttamente osservato il ministro dell’Economia: quel che fa paura non è il rimprovero delle autorità europee, ma il prezzo che i mercati fisseranno. Il primo può risolversi in nulla, il secondo tocca pagarlo. È una sconfitta di Meloni perché la Lega puntò a scassare tutto già in campagna elettorale, proponendo l’immediato sfondamento di bilancio, mentre Forza Italia, oscillante e acefala, pencola fra i due poli della maggioranza. Fu Meloni, in quella situazione, a porre un freno, a dire che si sarebbe sfondato soltanto in caso di recessione. E prese più del doppio dei voti degli altri due sommati assieme. Ebbene: la recessione non c’è e stiamo sfondando. La ragione di fondo è permanente e ce la trasciniamo dietro da decenni: incapacità di comprimere la spesa corrente improduttiva e incapacità di renderla almeno più efficiente, ad esempio diminuendo le centrali di spesa. La ragione contingente è il dramma del bonus 110%, la più dissennata fra le sciagure dilapidatorie. Però, attenti: è vero che Eurostat ha scelto di contabilizzare la spesa nell’anno in cui si genera e non in quello in cui si scuce effettivamente, ma è anche vero che il freno tirato dal governo non ha funzionato – per eccesso di deroghe – con il risultato che non ci becchiamo una coltellata un solo anno, ma continueremo a trafiggerci anche il prossimo. Ciò a tacere il fatto che i governanti di oggi chiedevano ieri le proroghe della dilapidazione ideata dal secondo governo Conte. Un tale risultato è una pessima premessa per il negoziato sul Patto di stabilità. Sicché la Francia non è soltanto una sponda con noi dialogante, ma un appiglio indispensabile. Mentre la più fessa delle cose è pensare di usare la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità come merce negoziale, intanto perché è stato sovranamente fesso trascinare lo strazio fin qui e poi perché vedere gli infartuati minacciare la distruzione dei defibrillatori è un tale spettacolo da suggerire il ricovero in manicomio. Le previsioni economiche sono sempre smentibili, ma è escluso si possa prescinderne: quest’anno avevamo previsto di crescere l’1% e speravamo meglio, ma si concluderà peggio; tutte le altre previsioni dicono che saremo fra i pochissimi europei che l’anno prossimo cresceranno meno di questo; mettere per iscritto il contrario per alleviare il dolore del tirare le somme no, non è neanche un palliativo. Tanto il prezzo del debito sarà dato dall’affidabilità delle scelte future. Ed è qui che si apre il bivio fra una battaglia persa e una guerra che lo diverrebbe. Quel che conta è l’interesse dell’Italia, non la durata del governo Meloni. Il primo è inderogabile, la seconda è trascurabile. Le due cose confluiscono se chi guida il governo si mostra capace di:
  • Non rimanere appiccicato alle (false) promesse fatte, ivi compresa la bubbola della flat tax;
  • Non andare a rimorchio delle bizze degli alleati, come sta accadendo in campo penale e sugli immigrati. Se non ne è capace può anche durare per l’intera legislatura, guidando l’Italia in un degradarsi della condizione economica e civile.
Inutile aggiungere che l’opposizione parlamentare non è oggi un’alternativa. Che sarebbe vera se partisse dalla serietà e dalla realtà, cosa che non comincia fra chi raccoglie i voti raccontando balle, ma fra chi vota e se le dovrebbe essere rotte.   di Davide Giacalone

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