Maggioranza, opposizione e incapacità di ricoprire i propri ruoli
La maggioranza si spacca e l’opposizione, invece di approfittarne, fa lo stesso. Tra mancanza di serietà, incultura politica e generale incapacità, il dibattito pubblico è sfinito
Maggioranza, opposizione e incapacità di ricoprire i propri ruoli
La maggioranza si spacca e l’opposizione, invece di approfittarne, fa lo stesso. Tra mancanza di serietà, incultura politica e generale incapacità, il dibattito pubblico è sfinito
Maggioranza, opposizione e incapacità di ricoprire i propri ruoli
La maggioranza si spacca e l’opposizione, invece di approfittarne, fa lo stesso. Tra mancanza di serietà, incultura politica e generale incapacità, il dibattito pubblico è sfinito
Il pericolo non è che il governo cada, ma che si perpetui bruciato. Non si tratta soltanto dell’assenza di un’alternativa e della presenza di una opposizione che strenuamente s’oppone alla propria credibilità. Ma del modo stesso in cui la maggioranza interpreta l’obiettivo istituzionale, scambiando la stabilità per operatività. Ciò che è sfinito non può trovare fine, trascinandosi. È per questo che divampano le risse su un documento scritto ottantaquattro anni fa. Arruolando presunti pensosi nel sottolinearne le falle e producendo fole (ah poveri chierici, incapaci di vivere senza pastore).
Se l’opposizione non fosse soltanto l’insieme di quelli ora fuori dal governo, si getterebbe sul tema del riarmo in nome dell’europeismo. Svelando il doppiogioco sfuggente dei governanti e indicando che l’ala europea è finita in minoranza, contando più le bizze della Lega che non le bozze di Forza Italia. Ma la gran parte dell’opposizione la pensa come la Lega, salvo poi pretendersi europeista nei propri sogni. Se si opponessero a qualche cosa avrebbero udito un ‘suon di squilla’ quando Draghi ha parlato della necessità di far crescere i salari.
Ma Pellizza da Volpedo non ce l’hanno più manco appizzato nella cameretta. E tutta quella roba del mercato unico dei capitali capiscono di non averla capita, ma intuiscono che non è roba per loro. Così una parte della maggioranza va a insultare Draghi (dopo averci governato assieme). E dall’opposizione non ci son campane né trombe, ma tromboni spompi e distratti. A tacere dei movimenti bancari su cui nulla s’oppone all’esondare governativo dalle funzioni e dimenticando che si sono dimenticati d’esaltare gli accordi commerciali come il Ceta, per contrastare i dazi ossigenati. Amen. È primavera, se la pianta non la svasate e rinnovate adesso ve la tenete spampanata fino allo sfiorire.
Ma se nel deserto tartaro non si scorge segno di vita, dentro la fortezza Bastiani del governo s’inventano i battaglioni nemici, si fingono assedi feroci per non dover riconoscere che s’è perso il senso della missione. La mattina ci si alza per far colazione, non per prendere posizione.
L’operazione politica preparata da Meloni aveva un respiro europeo e la sua decisiva premessa fu il ribaltamento delle posizioni sull’Ucraina. La destra protestò contro le sanzioni per l’occupazione russa della Crimea. E si ritrovò al fianco di Zelenskyj tre anni fa, prima di andare al governo quando ancora era formalmente all’opposizione. Mossa tanto azzeccata (e giusta) quanto detestata dalla Lega. Ma allora non contava niente. La destra raccoglieva consensi mestando nel torbido di un antieuropeismo preconcetto, ma l’ingresso sulla scena governativa veniva fatto sottobraccio a von der Leyen, votando poi la sua nuova Commissione. Intanto la Casa Bianca festeggiava un’Italia di destra che fosse atlantica, europea e con Kyiv. Poi è arrivato Trump e il gioco s’è rotto, i popolari (Forza Italia) sono divenuti afoni ripetitori di frasi fatte e gli antieuropeisti (Lega) han ripreso a vociare. Così si cammina sfiniti, sperando solo che non si veda lo spaesamento.
Vabbè, ma senza opposizione e con i fastidi interni battibili, basterebbe andare a elezioni e ripartire meno storditi. Non si può, quella era la continuità nell’instabilità: una specialità virtuosa della Prima Repubblica. Ora, per votare, si dovrebbe violare il dogma della falsissima unità della destra. E al Colle non farebbero sconti, chiedendo un voto parlamentare. Un prezzo alto e sull’unghia. Meglio pagare a rate, nello sfinimento e con una stagione economica non facile già iniziata. Con le riforme epocali arenatesi e la sola che potrebbe sopravvivere – relativa alla separazione delle carriere (giustissima) – destinata a non cambiare niente nell’immediato e a cambiare poco senza la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale e la conseguente responsabilità. Con la difesa europea, in cui sarebbe folle non esserci e contronatura esserci. Meloni lo aveva detto «Non mi farò logorare». Se lo sentiva.
Di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche