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Al Colle un contropotere, con il primo a essere rieletto

Il 15 maggio 2006 veniva eletto al colle Giorgio Napolitano, da quel momento il Quirinale diventa una specie di contropotere.
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Al Colle un contropotere, con il primo a essere rieletto

Il 15 maggio 2006 veniva eletto al colle Giorgio Napolitano, da quel momento il Quirinale diventa una specie di contropotere.
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Al Colle un contropotere, con il primo a essere rieletto

Il 15 maggio 2006 veniva eletto al colle Giorgio Napolitano, da quel momento il Quirinale diventa una specie di contropotere.
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Il 15 maggio 2006 veniva eletto al colle Giorgio Napolitano, da quel momento il Quirinale diventa una specie di contropotere.
Con Giorgio Napolitano un comunista ascende al Colle. Definirlo “ex comunista” è poco rispettoso, visto che non si può esserlo per una vita senza mai avere abiurato un’idea e poi, solo per il suo dissolversi, divenire “ex”. Si è ex coniugi quando si divorzia; nel caso uno dei due muoia, l’altro è vedovo. Si era votato con una legge (folle) voluta dal centrodestra, con il risultato che la sinistra ottenne molti seggi pur non avendo preso molti voti in più. Prese per sé le due presidenze parlamentari. Il 15 maggio 2006 elesse al Colle Napolitano. Il centrodestra depose nell’urna delle schede in bianco. Un tacito viatico. Due anni dopo si tornò a votare e vinse il centrodestra. Da quel momento il Quirinale divenne una specie di contropotere, con la differenza che mentre Ciampi aveva delegato ai collaboratori i rapporti politici, il successore li tenne direttamente in proprio. L’allora capo del governo Berlusconi ci mise del suo, arrivando ad accusare il Quirinale di tradimento per il mancato passaggio del ‘lodo Alfano’ alla Corte costituzionale, dove Napolitano aveva appena nominato un nuovo giudice. È probabile che nella sostanza avesse delle ragioni (e non è escluso che siano stati ‘traditi’ entrambi); gli sfuggiva il dettaglio costituzionale che nessun potere, neanche il Quirinale, può prendere impegni su una decisione della Corte. Nel 2010 il Colle annuncia che non firmerà più decreti legge il cui contenuto non sia omogeneo. In punta di diritto ha ragione, la modalità di comunicazione a dir poco irrituale e, comunque, i decreti restano ancora oggi delle salsicce con inserti vegetariani. Sul finire di quell’anno Fini rompe con Berlusconi e il governo dovrebbe cadere, ma Napolitano chiede che sia prima approvata la legge finanziaria. Con quel tempo guadagnato Berlusconi riesce a recuperare una maggioranza. In quel caso il Quirinale viene accusato di avere favorito il presidente del Consiglio, nel mentre dal centrodestra rimanente lo accusano di avere ordito con Fini. Nel 2011 spinge perché l’Italia entri nella guerra di Libia. Con il senno di poi sappiamo che fu un errore. I francesi hanno fatto autocritica (dopo il cambio all’Eliseo), in Italia si resta in attesa. Il 9 novembre di quell’anno, in piena speculazione sul nostro debito pubblico, nomina Mario Monti senatore a vita. Il governo Berlusconi è finito. Berlusconi voterà a favore di quello Monti. Dopo le elezioni del febbraio 2013 si è in stallo e scade anche il mandato presidenziale. Forza Italia e Pd raggiungono un accordo per eleggere Giuliano Amato, ma non hanno la forza e la lucidità di assumersene la comune paternità. Chiedono l’intervento di Napolitano, che pubblicamente si dice favorevole a un secondo mandato. Sarà così, il 20 aprile del 2013, il primo presidente rieletto. Con ampia maggioranza. Si dimette poi, nel 2015. di Gaia Cenol

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