Perché serve ritoccare il 41-bis
Controtendenza, io credo che il 41-bis vada ritoccato per non ripetere gli orrori che l’Italia ha già fatto in passato. Il carcere non può diventare una pena di morte quotidiana
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Controtendenza, io credo che il 41-bis vada ritoccato per non ripetere gli orrori che l’Italia ha già fatto in passato. Il carcere non può diventare una pena di morte quotidiana
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Controtendenza, io credo che il 41-bis vada ritoccato per non ripetere gli orrori che l’Italia ha già fatto in passato. Il carcere non può diventare una pena di morte quotidiana
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Controtendenza, io credo che il 41-bis vada ritoccato per non ripetere gli orrori che l’Italia ha già fatto in passato. Il carcere non può diventare una pena di morte quotidiana
Per non perdere il consenso centrista, tutti i partiti – con l’esclusione di alcuni dissidenti, fra cui Orlando – si sgolano: «Il 41-bis non deve essere toccato». Credo invece che debba essere toccato. Anzi, applicato con le modalità e le finalità per cui era nato, sennò applichiamo una forma di tortura.
Che c’entra ad esempio col 41-bis Nadia Desdemona Lioce? Il 2 marzo 2003 (cioè un anno dopo quel 19 marzo in cui fu ucciso Marco Biagi), l’allora leader con Mario Galesi delle Nuove Brigate rosse fu arrestata dopo una sparatoria in treno in cui persero la vita lo stesso Galesi e il sovraintendente della Polfer Emanuele Petri. La Lioce è una irriducibile. Una terrorista fuori dalla storia come Alfredo Cospito, l’“anarchico informale” al centro del dibattito pubblico (e questo la dice lunga sul livello politico attuale a ridosso di una tornata regionale di rilevanza).
Come Cospito, anche la Lioce subisce un 41-bis incoerente. Come Cospito – cui il ministro Nordio, anche disattendendo i suggerimenti dell’Antimafia, ha confermato quel regime carcerario – cosa potrebbe mai organizzare da dietro le sbarre? Nel 2015 scioperò contro il 41-bis: non affamandosi ma con la “protesta della battitura”, ossia battendo una bottiglietta di plastica contro le sbarre. Ciò le valse un ulteriore processo per oltraggio a pubblico ufficiale e disturbo della quiete pubblica (quella del carcere). Accusa caduta poi su richiesta della stessa Procura per l’evidente contraddizione con l’isolamento.
Per il 41-bis l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per i diritti umani: «È una forma di tortura». Vale a dire una condizione afflittiva che nega l’uso della parola, lo studio, la lettura, la scrittura, la socialità, l’affettività. Ci sono i mezzi per controllare senza condannare a una pena di morte quotidiana. La cella di Giovanni Passannante, il regicida che nel 1878 attentò a Umberto I, si trovava sotto il livello del mare. Impazzì, arrivando a cibarsi dei suoi escrementi. Riportato a livello del mare, quando fu visitato da un deputato socialista era ormai una larva. Gaetano Bresci (che nel 1900 il re sarebbe riuscito a ucciderlo) fu “suicidato”: «frezzizzato» disse Pertini, riferendosi al trattamento mortale subìto da Romeo Frezzi, reo di possedere una foto che lo ritraeva con Pietro Acciarito, anche lui mancato regicida.
C’è da chiedersi quanto siamo distanti da quegli orrori, cioè da una cultura esclusivamente punitiva. Quanto è lontano Beccaria? Nell’attesa di risolvere la questione Cospito, riconsegnando magari all’Italia l’attestato (un po’ sgualcito, in realtà) di “culla del diritto”, consiglierei – fra una canzonetta e uno scandalo di Sanremo – di dare una letta a “Sorvegliare e punire – Nascita della prigione”, saggio di Michel Foucault del 1975.
Di Pino Casamassima
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