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Sulla questione migranti la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – prima e dopo la vittoria elettorale – è nettamente cambiata
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Sulla questione migranti la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – prima e dopo la vittoria elettorale – è nettamente cambiata
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Sulla questione migranti la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – prima e dopo la vittoria elettorale – è nettamente cambiata
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Sulla questione migranti la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – prima e dopo la vittoria elettorale – è nettamente cambiata
All’ultimo vertice Ue, quello dove è stato definito un minimo di accordo sui migranti, Giorgia Meloni ha giustificato l’adesione dell’Italia in virtù di una «condizione geografica» che impone di stare con Francia e Germania e staccarsi dai finora compagni di viaggio ungheresi e polacchi. A chi ha un minimo di infarinatura storica, quelle parole non hanno potuto non ricordare l’invettiva del cancelliere austriaco Klemens von Metternich nei riguardi della Penisola «mera espressione geografica», come affermò nel 1847 alla vigilia dei sommovimenti patriottici dell’anno successivo.
Il parallelo è meno inverosimile di quanto possa apparire. Perché la geografia non è cambiata e il nostro Paese resta ben piantato al centro del Mediterraneo; e a ben vedere la Storia neppure, nel senso che allora come oggi si tratta di stabilire l’assetto europeo, le alleanze, i confini ideali e gli schieramenti. Quella che invece è cambiata, fino al punto di rovesciarsi nel suo contrario, è la posizione della presidente del Consiglio prima e dopo la vittoria elettorale. Prima FdI ha infatti vellicato alla grande le posizioni sovraniste e nazionaliste di Orbán in aperta contrapposizione con Bruxelles. Dopo, una volta insediatasi a Palazzo Chigi, Meloni ha via via compreso – e giustamente – che ancorarsi ai tradizionali (e storici: rieccola!) partner continentali fosse un obbligo e una convenienza rispetto alle velleità di uno Stato di dieci milioni di abitanti che vuole imporre i suoi interessi agli altri 400 milioni dell’Unione.
Intendiamoci, la presidente del Consiglio ha fatto la scelta giusta, come giusta è stata e rimane la decisione di schierarsi a fianco dell’Ucraina contro l’Orso russo che vale a Giorgia il posto nel quadro di comando occidentale assieme a Washington, Parigi e Berlino: scusate se è poco. Quel che non regge è la furbizia di immaginare di poter tenere il piede in due scarpe in vista delle elezioni europee del prossimo anno. La geografia va benissimo se usata per corroborare una scelta politica: in caso contrario scivola nel folklore.
Quella della collocazione internazionale è una partita fondamentale per le ambizioni di Meloni e per gli interessi di Roma. Ed è una scelta di campo che diventa più stringente e pervasiva ogni giorno che passa. Il riesplodere del conflitto fra Israele e i tagliagole di Hamas obbliga l’Italia a schierarsi abbandonando sempre più gli occhieggiamenti verso Putin, ai quali invece Budapest non rinuncia pur se in un contesto completamente diverso rispetto ai tempi del Patto di Varsavia. Per la numero uno del governo italiano si tratta di scelte dirimenti e – giusto sottolinearlo – politicamente onerose. La competition che nella maggioranza di centrodestra ha avviato Matteo Salvini, che le liaison con Mosca non ha mai ripudiato, costringe Meloni a un sussulto di chiarezza tanto stringente quanto inevitabile.
Di Carlo Fusi
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