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Salvini, la lega, il governo e le elezioni in Russia

Le parole di Salvini dopo le elezioni in Russia. Ci sono tre questioni ineludibili e non basterà che passi tempo perché nessuna di queste è passeggera

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Salvini, la lega, il governo e le elezioni in Russia

Le parole di Salvini dopo le elezioni in Russia. Ci sono tre questioni ineludibili e non basterà che passi tempo perché nessuna di queste è passeggera

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Salvini, la lega, il governo e le elezioni in Russia

Le parole di Salvini dopo le elezioni in Russia. Ci sono tre questioni ineludibili e non basterà che passi tempo perché nessuna di queste è passeggera

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Le parole di Salvini dopo le elezioni in Russia. Ci sono tre questioni ineludibili e non basterà che passi tempo perché nessuna di queste è passeggera

Sono tre questioni ineludibili. Non basterà che passino le ore e si passi alla prossima cretinata, perché nessuna di queste tre questioni è passeggera.

1. Non è affatto vero che quando un popolo vota ha sempre ragione. Anche solo pensarlo è una bestemmia antidemocratica. Ogni volta che si vota è una festa, ma a patto che si voti in uno Stato di diritto e che le minoranze siano rispettate prima, durante e dopo il voto. Dalla parte della maggioranza c’è la vittoria, non la ragione. Altrimenti sarebbe come dire che tutte le minoranze hanno sempre torto, che è la convinzione di chiunque crei o sostenga una dittatura. La democrazia non è una votocrazia. Si vota anche in Iran, ma non si conoscono deficienti in grado di supporre che sia una democrazia. In Russia gli oppositori vengono ammazzati e deportati, sebbene si conoscano invasati e prezzolati che ammirarono e ammirano quel sistema. Alle basi della democrazia ci sono regole e bilanciamenti che impediscono la “dittatura della maggioranza” e ciò comporta il riconoscimento che le minoranze abbiano il diritto di sostenere le loro ragioni. Sbaglia chi grida al “regime” ogni volta che perde (dal 1994 lo hanno fatto, a turno, sia la destra che la sinistra) e sbaglia chi crede che basti vincere per avere ragione. Vale per le grandi questioni, ma anche per le scelte specifiche: chi oggi chiede il ritorno all’energia nucleare pensa che al referendum la maggioranza ebbe torto a cancellarla, il che è di conforto per chi, come me, lo pensava già allora e ne uscì sconfitto. La democrazia è un metodo – il migliore mai esistito – per prendere decisioni ed eleggere rappresentanti, in un concerto di equilibri e garanzie individuali. Quelli che scambiano il corpo elettorale per l’incarnazione del divino passino pure al delirio mistico delle dittature.

2. I russi all’estero sono russi quanto i loro concittadini in Russia, ma non hanno votato Putin. Sapevano di potere tornare a casa vivi e liberi. L’avere cercato lo scontato plebiscito è il preludio sia di una maggiore repressione interna che di una maggiore aggressività esterna. Contro la libertà e contro di noi, Occidente democratico. Da noi ci sono sempre state forze politiche d’obbedienza moscovita, ma quelle di ieri se ne vergognano al punto da provare a cancellare il loro passato. Chi di noi non si è mai piegato a quelle fedi liberticide non solo non le ha mai confuse in un giudizio su tutti i russi, ma si è impegnato nella difesa dei russi. In un bellissimo film di Radu Mihǎileanu, “Il concerto”, si racconta del direttore – russo – dell’orchestra del Bol’šoj, epurato e ridotto a far le pulizie perché non volle licenziare i musicisti – russi – ebrei, di Lea e di suo marito Isaac ammazzati nel Gulag e di come poi l’orchestra vera, quella non piegatasi al comunismo sovietico, riuscì a esibirsi a Parigi, eseguendo il “Concerto per violino” di un russo grandioso: Pëtr Il’ič Čajkovskij. Un film che strappa un sorriso nel mentre le lacrime solcano il viso. Noi uomini liberi abbiamo sempre difeso quei russi. Sono i servi dei loro oppressori a non averlo mai fatto. Putin riporta la Russia in quella condizione e – come allora – vede in noi il nemico, ci minaccia con le armi e aiuta i suoi devoti ammiratori approfittando della nostra libertà. Noi resteremo dalla parte di quei musicisti.

3. La Lega non può prendere le distanze da Salvini e il governo non può prendere le distanze dalla Lega. Serve una rottura. Su questioni di questa portata non basta l’affabulazione consolatoria e neanche l’oltraggio all’intelligenza del parlare di “toni elettorali”. Su questioni di questa portata esistono soltanto la coerenza e il coraggio di farla valere. Il governo che non li trovasse per evitare rotture potrebbe sopravvivere, potrebbe durare, ma pagherebbe il prezzo di non convincere neanche sé stesso e di arrecare un danno all’Italia. L’alternativa non è cambiare schieramento – che le cose non stanno diversamente dall’altra parte – ma ritrovare dignità e non chiamarla unità.

di Davide Giacalone

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