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Sbilanciarsi

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La corsa per l’approvazione della legge di bilancio è alle sue fasi finali. Non è favorevole però che in Parlamento si presentino impostazioni e politiche diverse da quelle del governo. Finanziare pensioni che i più giovani non avranno mai, sarebbe questa la giustizia sociale?

Sbilanciarsi

La corsa per l’approvazione della legge di bilancio è alle sue fasi finali. Non è favorevole però che in Parlamento si presentino impostazioni e politiche diverse da quelle del governo. Finanziare pensioni che i più giovani non avranno mai, sarebbe questa la giustizia sociale?
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Sbilanciarsi

La corsa per l’approvazione della legge di bilancio è alle sue fasi finali. Non è favorevole però che in Parlamento si presentino impostazioni e politiche diverse da quelle del governo. Finanziare pensioni che i più giovani non avranno mai, sarebbe questa la giustizia sociale?
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La corsa per l’approvazione della legge di bilancio è alle sue fasi finali. Come al solito si arriva con il fiato corto. Come al solito gli emendamenti appartengono più al genere “assalto” che non a quello “modifica”. La diligenza arriverà a destinazione senza gravi danni, ma non è una bella cosa che il Parlamento sia il luogo in cui non si presentano impostazioni e politiche diverse da quelle proposte dal governo, bensì marginali scassamenti, tutti indirizzati ad aumentare la spesa. Non è la rappresentanza degli interessi concreti, come si vuol far credere, bensì la ressa di quelli particolari e che sperano di restare nascosti. Ultima conferma delle tradizioni: la discussione avviene in un ramo, perché l’altro avrà già il panettone in bocca e la valigia in mano. Effettuato questo passaggio – pur in uno scenario rocambolesco, mandato a vuoto uno sciopero generale e fatta la tara dei ritardi nelle amministrazioni locali – chiuderemo l’anno avendo rispettato tutti i tempi previsti nei piani europei e necessari per la riscossione dei relativi fondi. A parte le ritualità di stagione, però, c’è poco da festeggiare e moltissimo da perseverare: siamo solo all’inizio. È sul come continuare che dovrebbe concentrarsi la riflessione politica, chiamando ciascuno alle proprie responsabilità, sbilanciandosi. I sindacati, ad esempio – coerentemente rappresentando più i pensionati che i lavoratori – protestano perché con un ricalcolo al contributivo, ovvero sulla base dei contributi da ciascuno di noi effettivamente versati, molte pensioni future sconterebbero una diminuzione, per non poche anche fino al 30%. In tale protesta è contenuta una grande e taciuta verità: non solo la grande parte delle pensioni oggi in pagamento, ma anche una quota alta delle future, non è basata sui contributi e incorpora un regalo, anche fino al 30%. Li si chiama “diritti acquisiti”, ma ci si dimentica di ricordare che comportano “doveri acquisiti” per quanti pagano la differenza, ovvero lavoratori e contribuenti. Il tutto per finanziare pensioni che i più giovani non avranno mai. Sarebbe questa la giustizia sociale? Il fatto è che quando due sindacati convocano lo sciopero generale le forze politiche non possono limitarsi a far da spettatori, come se fosse una faccenda fra quei sindacati e il presidente del Consiglio. Tanto più che, con motivazione alquanto bislacca, i sindacati dicono: non scioperiamo contro Draghi, ma contro i partiti che lo placcano. Ecco, appunto: che hanno da dire su quel sistema pensionistico? Tanto più che quella riforma, quell’eterno cantiere, è un pezzo delle cose da farsi per rispettare gli impegni fin qui rispettati, ma che coinvolgono anche l’immediato futuro. In assenza di piattaforme alternative, che non siano quattro parole in croce senza manco un numero che torni, lo schema è: noi partiti ci occupiamo di prendere voti e ringraziateci che, nel frattempo, garantiamo al governo di andare avanti. Da qui la connessa diatriba sulla destinazione di chi lo presiede. Sembra furbo, ma è ottusa furberia. La realtà è che nessuno dei raggruppamenti, che con moltissima fantasia possono definirsi ‘coalizioni’, è in grado né di eleggere un presidente della Repubblica né di dare vita a un governo con una distinguibile linea politica. E se pensano di fare l’una o l’altra cosa ottengono il solo risultato di far crollare tutto, assumendosi la responsabilità di lasciare la diligenza in mano agli alleggeritori e il cronoprogramma europeo in quelle dei procrastinatori per vocazione. La smettano di far credere che tutto ruoti attorno a due nomi, per giunta avendocene uno solo. E se ci credono veramente è pure peggio. Tornino alla realtà: gli impegni da rispettare non solo vanno oltre gennaio, ma vanno oltre il 2023, data delle elezioni. Chiunque si proponga di vincerle ha il dovere di dire oggi che agirà in continuità. E dopo averlo detto, dopo essersi sbilanciato, può anche smetterla di continuare la commedia che sembra piacergli tanto. di Davide Giacalone

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