Scissione
Meloni e Schlein convergono sulla difesa europea, laddove avrebbero avuto idee contrarie se fossero l’una al posto dell’altra. Ma, prima o poi, bisogna operare una scissione tra ciò che si è predicato e ciò che si fa
Scissione
Meloni e Schlein convergono sulla difesa europea, laddove avrebbero avuto idee contrarie se fossero l’una al posto dell’altra. Ma, prima o poi, bisogna operare una scissione tra ciò che si è predicato e ciò che si fa
Scissione
Meloni e Schlein convergono sulla difesa europea, laddove avrebbero avuto idee contrarie se fossero l’una al posto dell’altra. Ma, prima o poi, bisogna operare una scissione tra ciò che si è predicato e ciò che si fa
Meloni e Schlein convergono sulla difesa europea, laddove avrebbero avuto idee contrarie se fossero l’una al posto dell’altra. Ma, prima o poi, bisogna operare una scissione tra ciò che si è predicato e ciò che si fa
In singolare consonanza, la presidente del Consiglio e la segretaria del più consistente partito d’opposizione rivendicano il medesimo successo: avere escluso i fondi europei per la coesione da quelli utilizzabili per la difesa. I fondi di coesione sono indirizzati alla realizzazione di infrastrutture e al superamento degli squilibri territoriali. Sicché Meloni e Schlein potrebbero unire le forze per ottenere due risultati: a. che quelli assegnati all’Italia siano effettivamente spesi e per conseguire gli obiettivi fissati, cosa fin qui avvenuta solo assai parzialmente; b. che gli investimenti relativi all’industria della difesa siano indirizzati anche verso il Sud, il che contribuirebbe alla riduzione degli squilibri più dell’apologia di quel che poi non si utilizza appieno.
In realtà, però, la loro convergenza è dovuta al tentativo di mimetizzare l’altra convergenza sostanziale, cui Meloni si sarebbe opposta se fosse stata all’opposizione e Schlein, essendoci, finge d’opporsi: la difesa europea. Seguendo una vecchia e non nobile tradizione, le due inseguono le scelte razionali passando per i vicoli del trasformismo. E meno male che lo fanno. A un certo punto, però, occorre operare una scissione dalle cose sbagliate che si sostennero. O ci si separa dalla realtà o ci si separa dai paraocchi. E se si sono costruiti contenitori politici che contengono una cosa e il suo opposto, si deve avere l’onestà e il coraggio di scinderli. Vale tanto per chi sta al governo con chi è contro le scelte del governo quanto per chi sta in un partito ma è contro le sue scelte.
La scelta occidentale fu necessaria e dilaniante, poi divenne un luogo comune perché l’Occidente aveva vinto. Ora torna a essere dirimente perché sembra esserci una scissione a Occidente. Si possono avere idee diverse, ma non si può far finta che nulla sia successo. Si può far tesoro del passato, ma non restarne prigionieri. Un seme prigioniero del passato non germoglia mai.
Questo tema ce lo portiamo dietro non soltanto dalla nascita della Repubblica, ma dall’Unità. Ha ragioni storiche e culturali, fra il terzaforzismo dialogante di stampo cattolico, l’internazionalismo di stampo socialista e il pacifismo mistico. Non di meno oggi viviamo una condizione inedita perché mai, nel nostro passato unitario, si pretese di descrivere l’Italia politica come bipolare, talché – per stare alla Repubblica – l’atlantismo aveva avversari nel mondo comunista, in quello cattolico e in quello della destra nostalgica ma era maggioritario nonostante le sensibilità diverse. Ora la difesa europea ha avversari al governo e all’opposizione, come ha estimatori all’opposizione e al governo.
Un gigante, Giuseppe Saragat, operò una scissione a sinistra pur di affermare l’atlantismo. I socialisti gli diedero ragione qualche anno dopo, i comunisti ci misero trent’anni (e poterono sprecare il trentennio perché intanto vincevano gli altri e non si toccava la scelta atlantica).
Oggi quella scelta – lo ripeto – è divenuta un luogo comune, condiviso da destra a sinistra, saltando gli esaltati. Ma la vicenda ucraina dimostra che l’alleato s’è allontanato e fidarsi di Putin (come fa Trump) è pura follia. Inoltre i necessari investimenti si aggiungeranno a una spesa militare europea che già oggi è superiore a quella russa pre guerra, ma lontana dall’averne l’efficacia. Sia perché frammentata in 27 parti, sia perché concepita neanche per la difesa ma per la pace. I nostri militari non vanno in guerra: vanno a provare di preservare la pace. Dovendo pensare alla difesa (vera), si tratta quindi di approntare un’unica macchina produttiva. Restarne fuori sarebbe un enorme danno economico e ricreerebbe le condizioni dell’asse franco-tedesco, poi criticato dagli stessi che ritirandosi lo generano.
Vale a destra come a sinistra, sopra come sotto. Giocare con le parole per salvare la capra della propaganda con i cavoli della realtà finisce con il mandare in cattedra la prima e far mancare a tavola i secondi. Meglio scindersi che tradirsi.
Di Davide Giacalone
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