Scorta per l’ad della Rai Sergio Roberto
Assegnata la scorta all’ad Sergio Roberto. La discussione in Italia attorno alla guerra in Medio Oriente peggiora nella stessa misura in cui la situazione sul terreno si complica
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Scorta per l’ad della Rai Sergio Roberto
Assegnata la scorta all’ad Sergio Roberto. La discussione in Italia attorno alla guerra in Medio Oriente peggiora nella stessa misura in cui la situazione sul terreno si complica
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Scorta per l’ad della Rai Sergio Roberto
Assegnata la scorta all’ad Sergio Roberto. La discussione in Italia attorno alla guerra in Medio Oriente peggiora nella stessa misura in cui la situazione sul terreno si complica
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Assegnata la scorta all’ad Sergio Roberto. La discussione in Italia attorno alla guerra in Medio Oriente peggiora nella stessa misura in cui la situazione sul terreno si complica
La discussione nel Paese attorno alla guerra fra Israele e i terroristi di Hamas peggiora nella stessa misura in cui la situazione sul terreno si complica ogni giorno. L’intransigenza accompagnata o dalla malafede o dalla sordità per le altrui ragioni sta sprofondando a livelli simili – per chi li ricorda – a quelli che negli anni Settanta vedevano contrapposti i difensori dello Stato ai simpatizzanti delle Brigate rosse. Qualunque cosa si dica si passa per genocida o terrorista e il lume della ragione tende a spegnersi nel buio di lotte ideologiche e ‘morali’ più che politiche.
Bisogna stare attenti a questa deriva. Quando il Viminale ritiene opportuno assegnare una scorta all’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio, ‘colpevole’ di aver esternato tramite Mara Venier parole quasi ovvie a difesa di Israele, vuol dire che la situazione sta sfuggendo di mano. Le minacce che evidentemente egli ha ricevuto non possono essere giustificate da una pur legittima critica alla scelta di incaricare la conduttrice di “Domenica In” di leggere in diretta quella sua dichiarazione. Il problema non è tanto su come funzioni la Rai o lo strapotere dell’amministratore delegato: viene il legittimo sospetto che sostenere le ragioni di Israele o ricordare il 7 ottobre sia diventato raro e pure rischioso. E infatti anche Piero Fassino, uno che nella sua vita non ha mai avuto paura di dire quello che pensa, è oggetto di una campagna di odio sui social che lo addita come servo di Netanyahu; e non parliamo della persecuzione cui sono sottoposti gli appartenenti alle comunità ebraiche. Che facciamo, assegniamo una scorta a tutti loro?
Ora, le persone serie e soprattutto quelle che hanno rivestito delicati ruoli istituzionali dovrebbero prestare particolare attenzione a quello che dicono. Per esempio Rosy Bindi. L’ex deputata, ministro e presidente della Commissione antimafia ha sostenuto che Roberto Sergio «è in qualche modo la causa della sua insicurezza», che in italiano si può tradurre così: se l’è cercata. È un’esternazione molto brutta, che non rende merito alla storia dell’allieva di Vittorio Bachelet, trucidato dalle Br e vittima delle sue idee: un concetto che ricorda una tragicamente famosa frase di Giulio Andreotti quando affermò che l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della banca di Sindona assassinato da un killer ingaggiato dallo stesso Sindona, se l’era appunto cercata.
C’è da sperare che a Bindi sia scivolata la frizione e che non volesse dire quello che abbiamo inteso. Ma se invece la partigianeria anti Israele conducesse a questo punto, forse bisognerebbe fermarsi un attimo a riflettere su dove sta andando il dibattito pubblico in questo Paese. E questo devono farlo in primo luogo le persone responsabili. Ad ammorbare l’aria bastano e avanzano i fanatici del web.
di Mario Lavia
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