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Se l’assedio regredisce alla condotta medievale

Le leggi del Diritto internazionale riguardanti i cosiddetti crimini di guerra sono materia di discussione da secoli. Con quanto fatto da Putin sembra di essere risprofondati nel Medio Evo

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Se l’assedio regredisce alla condotta medievale

Le leggi del Diritto internazionale riguardanti i cosiddetti crimini di guerra sono materia di discussione da secoli. Con quanto fatto da Putin sembra di essere risprofondati nel Medio Evo

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Se l’assedio regredisce alla condotta medievale

Le leggi del Diritto internazionale riguardanti i cosiddetti crimini di guerra sono materia di discussione da secoli. Con quanto fatto da Putin sembra di essere risprofondati nel Medio Evo

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Le leggi del Diritto internazionale riguardanti i cosiddetti crimini di guerra sono materia di discussione da secoli. Con quanto fatto da Putin sembra di essere risprofondati nel Medio Evo

Si è parlato delle accuse rivolte – in particolare da Biden e Zelensky – nei confronti di Putin di essere responsabile di «crimini di guerra». L’espressione non va confusa con un un moto d’animo o una figura retorica, perché si tratta di una definizione giuridica consolidata nel diritto internazionale, prevista più recentemente nello Statuto della Corte penale internazionale, che ha già attivato una indagine per la guerra in Ucraina.

La catalogazione è molto vasta; sarebbero almeno trentaquattro i “crimini di guerra” e, per sintesi, si riconducono alle due categorie delle “gravi infrazioni” alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e delle “violazioni delle leggi e consuetudini di guerra”. Tra queste figurano: a) l’omicidio e gli altri abusi contro civili, militari feriti e catturati tra cui la tortura, l’arruolamento coatto, la detenzione senza regolare processo, la deportazione e la presa in ostaggio; b) la distruzione arbitraria di città, paesi o villaggi e la devastazione non giustificata da esigenze belliche; c) il sequestro, la distruzione o il danneggiamento deliberato di edifici dedicati al culto, all’assistenza, all’educazione, alle arti o alle scienze nonché di monumenti storici e opere d’arte o di scienza; d) il saccheggio di proprietà pubbliche o private; e) l’impiego di armi tossiche o di altre armi predisposte per causare sofferenze non necessarie. Più in generale i “crimini di guerra” possono verificarsi insieme ad altri crimini internazionali, vale a dire l’“aggressione” (intesa come l’attacco ingiustificato di uno Stato alla integrità territoriale di un altro Stato), i “crimini contro l’umanità” (che comprendono omicidi, stermini, schiavitù, stupri, persecuzioni e altri atti inumani commessi «su larga scala, nell’ambito di un esteso e sistematico attacco contro le popolazioni civili») e il “genocidio” (ovvero l’intento deliberato di annientare un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso).

Alla base vi è il complesso valoriale elaborato dal Diritto internazionale umanitario, che dalle prime Convenzioni di Ginevra del 1864 e dell’Aja del 1899 ha visto confluirvi le regole del diritto bellico – chiamato oggi Diritto dei conflitti armati – per affermare il canone della “limitazione della violenza bellica”, sotto i princìpi della “necessità” e “proporzionalità”. L’impiego di armi non è illimitato e deve sempre considerare (“principio di precauzione”) quali misure devono essere prese per contenerne le ripercussioni sulla popolazione e sui beni civili (“principio della distinzione”). Da qui il divieto di condurre attacchi indiscriminati: solo i combattenti possono essere oggetto della violenza bellica, mentre la popolazione civile – in particolare donne, bambini, anziani – e gli hors de combat, i feriti e i prigionieri di guerra sono oggetto di specifica tutela. La violenza bellica può essere esercitata solo su obiettivi militari e alcune tipologie di armi sono bandite (armi chimiche e batteriologiche, bombe a grappolo, munizionamenti a schegge, ecc.) o limitate (mine, trappole esplosive, armi incendiarie e armi nucleari).

Inoltre, nel caso di assedi e occupazioni militari contro la popolazione non possono rivolgersi minacce o esercitarsi violenze, atti predatori e contrari alla dignità umana né imporsi deportazioni ed esodi forzati oppure limitazioni dell’alimentazione e dei servizi essenziali. I comandanti militari devono impedire che tutto questo si verifichi, anche a opera di milizie indisciplinate. In definitiva, si tratta di quelle «leggi d’umanità e della pubblica coscienza» che proprio un giurista russo, Feodor Feodorovic Martens (1845-1909), volle richiamare come principi di “diritto consuetudinario” – quindi universali e al di sopra dei trattati – per regolare la condotta della guerra: eravamo a due secoli fa, oggi siamo sprofondati nel Medio Evo.

di Maurizio Delli Santi

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