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Terzisti, né a destra né a sinistra

Ecco perché è patetico sentir dire che il ‘terzo polo’ ha ora bisogno di un nuovo federatore

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Terzisti, né a destra né a sinistra

Ecco perché è patetico sentir dire che il ‘terzo polo’ ha ora bisogno di un nuovo federatore

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Terzisti, né a destra né a sinistra

Ecco perché è patetico sentir dire che il ‘terzo polo’ ha ora bisogno di un nuovo federatore

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Ecco perché è patetico sentir dire che il ‘terzo polo’ ha ora bisogno di un nuovo federatore

Emmanuel Macron è il più riuscito esempio di politico che si lancia a occupare uno spazio intermedio e ne ricava un grande successo. La sinistra socialista era esangue, la destra gollista divisa e assediata dalla destra estrema. Lui si è fatto avanti, mescolando – come capita nella politica vincente – visione e cinismo, e per due volte è stato trionfalmente eletto all’Eliseo. Quando il suo astro splendeva furono in diversi, dalle nostre parti, a definirsi “macroniani”. Se non a volere essere il Macron maccheronico. Ora lo dicono meno. E sbagliano, perché come fu istruttiva la sua ascesa così lo è la difficile condizione in cui si trova. Specie per chi voglia essere terzista – schierato né a destra né a sinistra – come i liberaldemocratici italiani reduci dalla batosta elettorale.

Macron offrì un’alternativa alla Francia e i francesi lo premiarono alle presidenziali e anche alle legislative. Lo hanno punito con le seconde legislative e con le europee. Questo perché hanno scelto la destra? Più che altro perché non si votano i parlamentari per interposta persona e Macron resta un eccellente giocatore senza una squadra, senza un partito. Questa è la lezione.

La deriva leaderistica funziona se è una rappresentazione e si dota di struttura (Berlusconi lo sapeva), altrimenti è illusoria. Politica e informazione vanno a rimorchio del digitale e dei social, ma a votare ci vanno le persone fisiche. Se lo scopo è aizzarle, prendi la tua quota di tifosi latranti. Se è contrapporre, funziona dopo avere perso. Se cerchi di mettere a frutto dei contenuti devi incontrarli, devi prendere la borsa e girare come un matto, andare nella periferia e nella provincia dove vive la maggioranza dei cittadini. I partiti non sono (erano) associazioni caritatevoli, ma neanche comitati elettorali. Chi voglia vendere un prodotto sa che contano la sua bontà o illusione, conta la pubblicità, ma contano i venditori, che vanno formati e motivati. I partiti gestiscono i venditori di idee.

I cittadini vanno frequentati di continuo per offrire idee e suggestioni, non soltanto per chiedere voti. Quello viene dopo. Altrimenti poi ci si stufa. È inutile e già segno di vizio chiedersi in cosa abbia sbagliato Macron o pensare che sia una questione di carattere o antipatia. Frescacce. Se devo eleggere un parlamentare, per una volta voto quello che ‘sta con Macron’, poi vorrei anche che fosse qualcuno. Ora chiama a raccolta un fronte repubblicano, contro la destra. Fa bene, ma la politica non può essere un palio o una rievocazione storica, non basta. Per il resto ci vogliono però tempo, passione, struttura e sacrificio. Ci vogliono soldi per alimentare la macchina e non per glorificare l’egolatra di turno. Senza i partiti s’illuminano fuochi di paglia ma non funziona la democrazia.

Ecco perché è patetico sentir dire che il ‘terzo polo’ ha ora bisogno di un nuovo federatore. Quello, semmai, potrà essere un incollatore – senza speranza – di cocci rotti. La sconfitta è arrivata con il sistema elettorale più favorevole: se non lo si capisce non c’è verso di andare da nessuna parte.

È una storia antica, che raccontiamo nel libro “Il Mondo della Ragione”. Ci vogliono tanta presunzione e irrimediabile cecità a pensare di superarla perché il nuovo capo ha poteri taumaturgici. Serve la diffusione di un comune sentire: le sfide che attendono l’Ue sono sulla difesa comune, sulla gestione dei debiti nazionali e sull’allargamento di quello europeo; in Italia servono l’equilibrio dei conti e la fluidificazione del mercato. La guerra e i soldi. Il resto, in coda.

Quasi nessuno, si obietta, legge articoli più lunghi di un gutturale e men che meno i programmi. Vero, ma se si concorre al consenso facile s’usi l’abilità circense, non la fatica dell’elaborazione e della convinzione. Con le quali delle minoranze fecero il Risorgimento, la Resistenza e la Repubblica. Restando minoranze, ma non sentendosi minorate. E furono utili alle maggioranze che non avevano la vocazione a sprofondare nel vuoto della propria propaganda.

di Davide Giacalone

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