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Visita al Colle

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FdI chiede ufficialmente al Colle di smentire manovre che allo stato attuale hanno la consistenza di fumisterie

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FdI chiede ufficialmente al Colle di smentire manovre che allo stato attuale hanno la consistenza di fumisterie

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FdI chiede ufficialmente al Colle di smentire manovre che allo stato attuale hanno la consistenza di fumisterie

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AUTORE: Carlo Fusi

Tema: “Se sono alla guida del governo con una maggioranza netta e un’opposizione poco coesa, inveire contro complotti, manovre e pastette volte a farmi perdere le elezioni rappresenta un segno di forza o di debolezza?”. Svolgimento (brevissimo): di debolezza.

Messa così, bisogna capire perché il partito di maggioranza relativa, guidato da una leader che siede a Palazzo Chigi e veleggia nei sondaggi, senta il bisogno – come accaduto martedì nello scambio di note fra il capogruppo alla Camera di FdI e il Quirinale – di accendere uno scomposto e frontale attacco alla più alta magistratura dello Stato. Mossa improvvisa e improvvisata, nata sull’abbrivio di un articolo di giornale che poteva essere derubricato a ennesimo attacco ‘con la bava alla bocca’ e che invece è trasfigurato in una pagina triste e inquietante nei rapporti fra istituzioni dello Stato.

Di più. Una volta divampato, l’incendio poteva essere domato con un contatto diretto, anche ricorrendo a opportuni canali informali tra Palazzo Chigi e il Colle, valorizzando quella «leale collaborazione» fra organi dello Stato che prescrive la Costituzione. È stata invece scelta da Giorgia Meloni per un verso la strada del silenzio (a parte una dichiarazione anodina di un suo stretto collaboratore) e per l’altro di gettare la palla in tribuna in un comizio elettorale. Una trincea semplicemente indifendibile e infatti ieri la presidente del Consiglio, con quale spruzzo di cenere nei capelli, è dovuta salire al Quirinale per un faccia a faccia con Mattarella: gesto di sostanza, non di semplice galateo.

Tuttavia troppe ombre rimangono per non domandarsi la ragione di un fuoco così pretestuosamente appiccato e in vista di quale traguardo. Per comprenderlo, è forse necessario unire alcuni puntini solo apparentemente cronologici. Si parte da un discorso di Sergio Mattarella al Bundestag tedesco, con espliciti riferimenti a leader internazionali che si atteggiano a Stranamore e accarezzano la Bomba senza preoccuparsi delle possibili tragiche conseguenze.

Si continua due giorni dopo con la riunione del Consiglio supremo di Difesa, che si conclude con un comunicato dove si conferma che l’Italia è schierata – senza se e senza ma – dalla parte dell’Ucraina, compresa la fornitura di armi da rifinanziare con un apposito decreto che il governo deve portare a gennaio in Parlamento. Poche ore dopo la riunione, “la Verità” pubblica un dossier anonimo nel quale si fa riferimento ad affermazioni di un collaboratore del Presidente volte a precostituire le condizioni politiche per favorire al momento del voto lo schieramento di centrosinistra, in qualunque forma vorrà organizzarsi.

Tralasciando i retroscena e le parole disinvoltamente pronunciate in una riunione conviviale, la sostanza politica è che FdI chiede ufficialmente al Colle di smentire manovre che allo stato hanno la consistenza di fumisterie.

La spinta polemica, tanto clamorosa quanto pretestuosa, fa nascere il sospetto che FdI voglia aumentare la fibrillazione nel timore di non reggere più la posizione su Kyiv e puntando su un percorso, anche qui cronologicamente scandito, che vede la conclusione della campagna elettorale per le amministrative a cui farà seguito quella sul referendum sulla giustizia – vero discrimine della legislatura, perché chi lo vince vince anche le elezioni politiche – e il varo di una nuova legge elettorale che a quel punto diventerebbe il grimaldello per arrivare a ridosso dell’estate 2026 ad aprire anticipatamente le urne politiche, incassando il dividendo fino a quel punto maturato.

In modo inoltre da non passare per le forche caudine di una manovra di bilancio che – visti i report sulla crescita italiana che arrivano dalla Commissione Ue – minaccia di dover essere, diciamo così, piuttosto impopolare tra spese per la difesa e impegni da prendere senza il paracadute del Pnrr (che scade appunto nel 2026).

Inserite in questo scenario, le mosse di FdI e della Meloni acquistano una dimensione tutt’altro che immaginifica. Resta da capire se, quanto giovi e a chi, tenere un Paese sotto gli elettrodi di un perenne elettroshock e quale azione di governo possa scaturire dall’uso smodato della propaganda al posto della dialettica politica tra schieramenti. La risposta è scontata, ma neppure con la lampada di Diogene si scorge a chi importa.

Di Carlo Fusi

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