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A Bologna il Comune vieta il maschile

Il Comune di Bologna ha diffuso un manuale d’istruzione per corrette soluzioni linguistiche rispettose del gender. Ma il maschile non esiste
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A Bologna il Comune vieta il maschile

Il Comune di Bologna ha diffuso un manuale d’istruzione per corrette soluzioni linguistiche rispettose del gender. Ma il maschile non esiste
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A Bologna il Comune vieta il maschile

Il Comune di Bologna ha diffuso un manuale d’istruzione per corrette soluzioni linguistiche rispettose del gender. Ma il maschile non esiste
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Il Comune di Bologna ha diffuso un manuale d’istruzione per corrette soluzioni linguistiche rispettose del gender. Ma il maschile non esiste
In omaggio ad almeno due degli aggettivi che più spesso si accompagnano alla città di Bologna per definirne l’essenza, il Comune della città ha appena licenziato un imperdibile vademecum di comunicazione per i dipendenti suoi e dell’amministrazione pubblica in generale. E dunque Bologna ‘la Dotta’ non poteva che meritarsi un metodo ponderato sull’uso delle parole: linee guida per aiutare dallo sportellista al dirigente in cerca di soluzioni linguistiche rispettose del gender. Il manuale – dal titolo “Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere” – contiene una serie di soluzioni invero acrobatiche raccomandate a fini inclusivi: sono banditi per esempio i termini “uomo” e “uomini” in senso universale per lasciar posto a una formula più rispettosa quale “donne e uomini”, ma solo a patto che anche questa sia alternata con “uomini e donne”. Bologna ‘la Grassa’ non poteva che vantare una bibbia dell’inclusione ridondante di sinonimi di “uomo” e “uomini” a uso universale (“esseri umani”, “personale”, “popolazione”), di cariche al femminile (in un profluvio di “sindaca”, “assessora” et cetera), di circonlocuzioni sbilenche per oscurare il genere («Se pensi di essere stato multato ingiustamente» diventa «Se pensi di aver ricevuta una multa ingiusta»). Con tanto di capitolo dedicato alle trovate più bislacche del genderismo oltranzista: l’asterisco e la schwa, da usare quando già chi scrive vi fa ricorso per parlare di sé. di Valentino Maimone

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