Non c’è casa abitata da bambini sotto i tre anni in cui non risuoni più o meno regolarmente il motivetto ipnotico di “Baby Shark”, il cui video è stato realizzato nel 2016 dalla sudcoreana Pinkfong, società specializzata nell’intrattenimento per i più piccini.
Da pochi giorni “Baby Shark” è il primo videoclip della storia ad aver superato la quota – difficile anche da scrivere e immaginare – di 10 miliardi di visualizzazioni su YouTube.
Ripetiamo, perché vi potrà venire il dubbio di aver letto male: 10 miliardi di visualizzazioni della canzoncina che ripete ossessivamente il ritornello «Baby Shark, dododododo, Daddy Shark, dododododo, Mammy Shark…» e così via.
Ci deve essere qualcosa nell’aria di Seul che aiuta a creare tormentoni globali e per tutte le età. Pochi anni fa, tal Psy travolse le classifiche di vendita nei cinque continenti con la tragicomica “Gangnam Style”, valsa una quantità di quattrini imbarazzante al cantante e alquanto improbabile ballerino coreano.
Pochi mesi fa la serie tv “Squid Game“ si è imposta all’attenzione mondiale attraverso il medium di Netflix, costringendo centinaia di milioni di persone a occuparsi di un immaginario truculento gioco televisivo, feroce parodia della società coreana.
Ora le cifre siderali di “Baby Shark“, a cui almeno va ascritto l’enorme merito di riuscire a regalare qualche minuto di pace alle mamme e ai papà travolti dall’iperattivismo dei loro pupetti, magicamente inchiodati alla tv o al pc dalla canzone (?) più riprodotta di sempre su YouTube.
di Marco Sallustro
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