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Dietro le sbarre, i suicidi in carcere

Dal primo giorno dell’anno a oggi, in carcere si sono tolti la vita già 20 detenuti, più o meno uno ogni due giorni e mezzo. Bisogna cercare di limitare i suicidi nei penitenziari
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Dietro le sbarre, i suicidi in carcere

Dal primo giorno dell’anno a oggi, in carcere si sono tolti la vita già 20 detenuti, più o meno uno ogni due giorni e mezzo. Bisogna cercare di limitare i suicidi nei penitenziari
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Dietro le sbarre, i suicidi in carcere

Dal primo giorno dell’anno a oggi, in carcere si sono tolti la vita già 20 detenuti, più o meno uno ogni due giorni e mezzo. Bisogna cercare di limitare i suicidi nei penitenziari
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Dal primo giorno dell’anno a oggi, in carcere si sono tolti la vita già 20 detenuti, più o meno uno ogni due giorni e mezzo. Bisogna cercare di limitare i suicidi nei penitenziari
Che strano Paese è quello che sa indignarsi quando vede una sua concittadina all’estero condotta in ceppi e catene al processo da presunta innocente, ma affonda la testa nell’ignavia pur di non guardare all’orrore che coltiva senza troppi patemi in casa propria. Un Paese capace di commuoversi di fronte al fisico devastato dai soprusi di chi ha subìto il carcere da innocente per quasi trentatré anni, ma bravissimo a fare spallucce e a relegare la notizia di un suicidio in carcere in un riquadro a pagina 16 (meglio se in basso e a sinistra). Dal primo giorno dell’anno a oggi, fra le mura del nostro disgraziato sistema carcerario si sono tolti la vita già 20 detenuti. Più o meno uno ogni due giorni e mezzo. E non ci vuole del genio per prevedere che il numero continuerà a salire fino a superare facilmente il totale di quelli registrati l’anno scorso (69) e magari anche quello del 2022, annus horribilis dei nostri penitenziari con 84 suicidi (il primato più nero degli ultimi trent’anni). Dice: cosa vuoi che sia, la gente si toglie la vita da libera, figuriamoci dentro una cella. Allora leggete qui: nel 2022 hanno deciso di farla finita 15,2 detenuti ogni 10mila abitanti; lo stesso dato – fra le persone qualunque in libertà – era di 0,71 per 10mila abitanti, cioè 20 volte inferiore a quello raggiunto dietro le sbarre. Qualcuno ha mai provato a ragionare su questo? Qualcosa dev’essere pur successo alle nostre carceri se nel decennio fra il 1960 e il 1969 i suicidi furono in tutto 100, lo stesso numero che oggi si raggiunge nel giro di un anno e mezzo. Vogliamo davvero considerarla soltanto una questione da lasciare alle riflessioni di sociologi e psicologi o non sarà piuttosto il caso di trattarla per quello che è: un’intollerabile emergenza non più differibile neanche di un’ora? I nostri 189 penitenziari boccheggiano, stritolati dalla mole di oltre 63mila detenuti (12mila in più di quanti ne potrebbero sopportare). Sono strutture spesso decrepite, fatiscenti. Basta sfogliare i rapporti di Antigone per impallidire all’idea di quello che deve sopportare chi è costretto lì dentro: finestre rotte, riscaldamento assente, acqua gelida o marrone, sembrano descrizioni di sale di tortura. In quella splendida cornice sopravvivono oltre 15mila detenuti che devono espiare pene brevi (a oltre 7.600 manca fra un giorno e 12 mesi, ad altri 8mila restano meno di 2 anni) e più di 1.200 carcerati over 70. Per non dire degli oltre 15.600 che sono ancora tecnicamente ‘non colpevoli’, essendo in attesa di primo giudizio o comunque condannati non definitivi. L’Italia si divide su tutto, figuriamoci su questo. Per la generazione cresciuta con l’idea che «hanno anche la tv, cos’altro vogliono? Non sono mica al Grand Hotel», è dura da mandar giù la prospettiva che l’unico modo per dare ossigeno a un sistema che si sta impiccando da sé sarebbe attuare una rivoluzione copernicana: abbandonare l’impianto carcerocentrico attuale. Chi a ogni caso di cronaca invoca che «sia fatta giustizia» – salvo poi vomitare rancore se l’entità della pena inflitta è inferiore a quella che sarebbe piaciuta a lui – non può accettare che un detenuto anziano o con un residuo pena basso esca prima del tempo. Tantomeno che chi è in attesa di giudizio attenda ai domiciliari l’esito del suo processo: presunti pedofili, assassini, stupratori non possono che marcire in cella a prescindere. Anche se potrebbero essere innocenti (e lo sono in tanti, in troppi). Cercare concretamente di limitare i suicidi nei penitenziari vuol dire adottare subito misure straordinarie per assumere personale pronto e formato: ci sono strutture in cui uno psicologo o un mediatore culturale sono un miraggio, ce ne sono altre in cui quel ruolo è affidato alla buona volontà, al sacrificio e al buon senso di poche anime pie. Mentre gli agenti penitenziari – sottodimensionati e sotto pressione costante – soffrono. E si tolgono la vita con un tasso doppio rispetto alla popolazione ‘normale’, là fuori. di Valentino Maimone

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