Donne e carriera, un amore mai nato. Anche per scelta
Il numero delle quote rosa nei Cda è impietoso, tranne che nelle società quotate, nelle quali la loro presenza è regolamentata dalla legge. E giusto chiedersi il perché.
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Donne e carriera, un amore mai nato. Anche per scelta
Il numero delle quote rosa nei Cda è impietoso, tranne che nelle società quotate, nelle quali la loro presenza è regolamentata dalla legge. E giusto chiedersi il perché.
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Donne e carriera, un amore mai nato. Anche per scelta
Il numero delle quote rosa nei Cda è impietoso, tranne che nelle società quotate, nelle quali la loro presenza è regolamentata dalla legge. E giusto chiedersi il perché.
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Il numero delle quote rosa nei Cda è impietoso, tranne che nelle società quotate, nelle quali la loro presenza è regolamentata dalla legge. E giusto chiedersi il perché.
Non ho mai amato il dibattito sulle quote rose. Servono? Probabilmente sì. Ci si sente come dei panda in estinzione? Forse. Ci sono soluzioni alternative?Per ora nessuno ne ha trovate di brillanti.
Fatta la doverosa premessa che le donne partono spesso svantaggiate nel mondo del lavoro, credo sia il momento di andare oltre i legittimi desideri di parità e i proclami di uguaglianza e democrazia aziendale. Spesso rimangono solo intenti e facili frasi a effetto.
Per risolvere il problema si deve avere il coraggio di guardare la situazione nel suo complesso, e il problema è anche alla radice. Le donne vogliono davvero crescere e ricoprire ruoli apicali? E domanda ancora più fastidiosa: siamo realmente capaci di farlo? Ovviamente un discorso del genere non si può generalizzare e alcune belle eccezioni ci sono. Ma i numeri sono impietosi. La presenza femminile nei Cda dei gruppi quotati in Borsa si avvicina al 40%. Sembra una percentuale importante, in realtà è quella prevista dalle norme, da quelle famose quote rosa per la tutela delle ‘specie a rischio’.
Secondo un’elaborazione Openpolis (su dati Cerved di luglio 2019) le donne erano invece meno dell’8% prima del 2011, anno dell’entrata in vigore di questo obbligo. Nelle società non quotate, non soggette a quote di genere, la percentuale femminile nei Cda non raggiunge il18%. Il dato che fotografa in modo ancora più chiaro la situazione è quello delle donne che ricoprono il ruolo di amministratore delegato di società quotate, che continua a scendere: era poco più del 3%del totale nel 2013, è meno del 2% alla fine dell’anno scorso (Rapporto Consob sull’evoluzione della corporate governance in Italia). Credo sia giusto chiedersi perché.
Senza dare solo la colpa e la responsabilità ad ‘altro’: uomini, politica, mancanza di politiche di welfare, mentalità misogina e maschilista.Questi aspetti sono sicuramente parte del problema. Un punto che però non si può tacere, e lo scrivo con profonda amarezza, siamo noi. Spesso incapaci di fare squadra, competitive oltre misura, poco propense a far crescere le più giovani.
Dalla ‘uoma’ al potere, alla single che non tollera i privilegi della lavoratrice mamma, a quest’ultima che pretende spesso diritti e agevolazioni in più. Il contesto non ci facilita, su questo ci sono pochi dubbi.
Che la donna debba spesso fare il doppio della fatica, essere brava e competente ‘n’ volte in più per ricoprire lo stesso ruolo di un uomo è una realtà difficilmente confutabile. Che a volte l’ambiente e le difficoltà diventino un paravento per auto assolversi o per giustificare il perché non si sia fatta carriera credo sia una scomoda verità.
E allora anziché fare la guerra ai maschi giochiamo di strategia, prendiamo spunto dalle cose in cui sono bravi, come il fare ‘spogliatoio’. Abbiamo capacità e potenzialità enormi. Sta solo a noi valorizzarci. E, per rispondere alla domanda principale: sì, siamo capaci di ricoprire ruoli apicali. Dobbiamo solo crederci davvero.
di Federica Marotti
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