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La fuga dal Beccaria e il fallimento del dovere rieducativo

La fuga di gruppo dal carcere Cesare Beccaria di Milano deve farci riflettere. E non solo sul fatto di cronaca, ma anche sulle condizioni di queste strutture che non possono diventare una scorciatoia per l’inferno
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La fuga dal Beccaria e il fallimento del dovere rieducativo

La fuga di gruppo dal carcere Cesare Beccaria di Milano deve farci riflettere. E non solo sul fatto di cronaca, ma anche sulle condizioni di queste strutture che non possono diventare una scorciatoia per l’inferno
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La fuga dal Beccaria e il fallimento del dovere rieducativo

La fuga di gruppo dal carcere Cesare Beccaria di Milano deve farci riflettere. E non solo sul fatto di cronaca, ma anche sulle condizioni di queste strutture che non possono diventare una scorciatoia per l’inferno
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La fuga di gruppo dal carcere Cesare Beccaria di Milano deve farci riflettere. E non solo sul fatto di cronaca, ma anche sulle condizioni di queste strutture che non possono diventare una scorciatoia per l’inferno
La notizia della fuga di gruppo dal carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano – “Istituti penali per minorenni” la nuova denominazione – è molto più di un fatto di cronaca, pur clamoroso. Oltre alla rivolta nelle celle, per favorire la fuga dei sette, a colpire sono il contesto e alcune delle conseguenze. Partiamo da queste ultime: uno dei fuggitivi è stato convinto a consegnarsi dalla sorella, un secondo dai genitori e un terzo si era rifugiato dalla nonna, che ha chiamato il 112. Un intervento, quello delle famiglie, che fa ben sperare per la loro vita. Perché convincerli a costituirsi non è solo una scelta razionale e imposta dalle circostanze, ma soprattutto il più grande investimento possibile sul futuro di questi ragazzi. Purché – e veniamo al contesto – la struttura a cui sono temporaneamente affidati sia in grado di adempiere alla sua missione, che non è trasformare in criminali dei ragazzini che hanno sbagliato. Le condizioni degli istituti per minori fanno invece pensare esattamente l’opposto: al fallimento del dovere rieducativo di uno Stato di diritto. Cosa potremmo mai dire ai genitori di Rimini che, esasperati dal figlio spacciatore, lo hanno denunciato alla polizia perché stroncasse il traffico di droga che il giovane aveva organizzato nella macchina di famiglia davanti casa? Mamma e papà hanno fatto il loro, ma lo Stato deve fare la sua con un carcere che non diventi scorciatoia per l’inferno. Di Marco Sallustro

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