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Le manifestazioni di piazza

Gioventù bruciata: le manifestazioni di piazza e la violenza

L’Italia è diventata un Paese rabbioso. Il clima che si respira nella vita pubblica è aggressivo; aggressivo e gratuito. E le manifestazioni di piazza sono diventate l’occasione per aggredire la polizia

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Gioventù bruciata: le manifestazioni di piazza e la violenza

L’Italia è diventata un Paese rabbioso. Il clima che si respira nella vita pubblica è aggressivo; aggressivo e gratuito. E le manifestazioni di piazza sono diventate l’occasione per aggredire la polizia

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Gioventù bruciata: le manifestazioni di piazza e la violenza

L’Italia è diventata un Paese rabbioso. Il clima che si respira nella vita pubblica è aggressivo; aggressivo e gratuito. E le manifestazioni di piazza sono diventate l’occasione per aggredire la polizia

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L’Italia è diventata un Paese rabbioso. Il clima che si respira nella vita pubblica è aggressivo; aggressivo e gratuito. E le manifestazioni di piazza sono diventate l’occasione per aggredire la polizia

L’Italia è diventata un Paese rabbioso. Il clima che si respira nella vita pubblica è aggressivo. Aggressivo e gratuito. Il sentimento più diffuso è il risentimento. Dunque, il nemico da combattere – come diceva mirabilmente Leonardo Sciascia – non è fuori ma dentro di noi. La lotta di classe (un concetto vecchio e confuso, che era già vecchio e confuso quando era giovane e chiaro) è in realtà lotta morale che ogni soggetto dovrebbe ingaggiare con sé stesso. Ma siccome ogni mattina che il padreterno manda in Terra si ricerca il colpevole di turno – l’immigrato, il poliziotto, il politico, il medico, il maschio e via delirando – ecco che la morale diventa immorale e la forza interiore che dovrebbe sorreggere le vite si riversa all’esterno e rabbia e aggressività diventano lo stato d’animo e la pratica sociale che caratterizzano il nostro tempo. Che fare? Per iniziare: datevi – diamoci – tutti una calmata.

Le manifestazioni di piazza sono diventate l’occasione per aggredire la polizia. Fatti ed episodi sono ormai innumerevoli e se nelle mille e una notte delle manifestazioni non c’è scappato il morto è soltanto perché le forze dell’ordine preferiscono dare una manganellata in meno e prendersi addosso ora un palo, ora un sampietrino, ora una bomba carta in più. Pier Paolo Pasolini nel 1968 – cioè, 57 anni fa! – davanti alle scene dei giovani che si scontravano con la polizia disse «Io simpatizzavo coi poliziotti». Quante sofisticate pagine sono state scritte sulla poesia di Pasolini, ma quasi sessant’anni dopo non c’è sofisma che tenga per giustificare l’ingiustificabile: la violenza. C’è solo da arrossire vedendo la gioventù italiana buttare via così il proprio tempo e le proprie forze nel tentativo maligno di trasformare gli agenti di polizia in criminali e constatare, purtroppo, che le forze politiche di opposizione non hanno la capacità di essere ferme nella condanna delle violenze gratuite.

La vita politica italiana e la storia nazionale sono state attraversate per decenni dalla violenza la cui pratica è stata teorizzata come giusta per colpire lo Stato ingiusto, borghese, capitalista. Puro “delirio comandato” – la definizione non è mia ma del lungimirante Croce – che metteva insieme ideologia, cattivi maestri, ambiguità e connivenze politiche. Chi – a parte i morti che più non tornano vivi – ha pagato il prezzo più alto sull’altare della violenza innalzata a lotta di classe? I giovani. Perché sono i giovani, per la loro stessa natura così viva e così emotiva e così astratta, che si lasciano catturare dall’entusiasmo che ottunde il cervello e dall’ebrezza dell’alcinesca giustizia che accende i giovanili eroici furori che – ahimè – rapidamente invecchiano in brutta poesia e in malato romanticismo.

Eppure, la gioventù bruciata italiana è una minoranza di una minoranza. Gli scontri a Roma a San Lorenzo, gli agenti accerchiati a Busto Arsizio e anche le manifestazioni per la Palestina ci dicono che a volere la violenza sono pochi, mentre la gran maggioranza dei ragazzi italiani – pur nutrendo in corpo una rabbia che ora è connaturale all’età e ora è incontrollata dalla scuola – assiste annoiata alle esplosioni di violenza cui fatica a dare un senso. Il nostro compito, il compito degli adulti di ogni genere e grado, qual è? Spegnere il fuoco e allontanare come un calice amaro anche ogni pallida idea di provare a giustificare la pratica della violenza. Troppo spesso si sono sentite in giro parole di elogio del conflitto sociale, confondendo – non si sa se per dolo o per ignoranza – la conflittualità della stessa vita umana, che non può essere totalmente governata, con il conflitto armato, che è solo follia e reato.

di Giancristiano Desiderio

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