Guardie svizzere, oltre al folklore c’è molto di più
Quello delle guardie svizzere, con i suoi 135 soldati, è l’esercito più piccolo e vecchio del mondo. Da 515 anni garantiscono la protezione personale del Papa. Devono essere tutti elvetici, di buona reputazione e celibi.
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Guardie svizzere, oltre al folklore c’è molto di più
Quello delle guardie svizzere, con i suoi 135 soldati, è l’esercito più piccolo e vecchio del mondo. Da 515 anni garantiscono la protezione personale del Papa. Devono essere tutti elvetici, di buona reputazione e celibi.
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Guardie svizzere, oltre al folklore c’è molto di più
Quello delle guardie svizzere, con i suoi 135 soldati, è l’esercito più piccolo e vecchio del mondo. Da 515 anni garantiscono la protezione personale del Papa. Devono essere tutti elvetici, di buona reputazione e celibi.
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Quello delle guardie svizzere, con i suoi 135 soldati, è l’esercito più piccolo e vecchio del mondo. Da 515 anni garantiscono la protezione personale del Papa. Devono essere tutti elvetici, di buona reputazione e celibi.
Lungo via di Porta Angelica, la strada che conduce in piazza San Pietro costeggiando il lato orientale del Vaticano, sorge uno dei palazzi meno visitati ma allo stesso tempo più osservati dai turisti: la caserma delle Guardie svizzere, l’esercito personale del Papa. Se le finestre sono aperte si possono vedere scorci della stanza-armadio dei militari dove vengono riposte in lunghe file ordinate le pittoresche uniformi rinascimentali e le alabarde, l’arma in dotazione ai soldati di primo grado. I colori blu e giallo scuro della divisa si ispirano allo stemma familiare di papa Giulio II della Rovere, il fondatore del corpo, mentre il colore rosso a quello contenuto nello stemma di papa Clemente VII in onore della famiglia Medici.
L’originalità della tenuta non tragga in inganno: per entrare nell’esercito più piccolo (135 soldati) e più longevo (serve ininterrottamente dal 1506) del mondo occorre superare una rigidissima selezione che richiede una costante formazione fisica e morale. Alla base, però, è necessario che la recluta – rigorosamente celibe – abbia la cittadinanza svizzera, un’età compresa tra i 19 e i 30 anni, sia alto non meno di 174 centimetri e, oltre a una buona reputazione (guten Leumund) sia necessariamente cattolico praticante. Il matrimonio è consentito soltanto dopo il compimento del venticinquesimo anno d’età purché il soldato abbia prestato servizio per almeno cinque anni e si impegni a farlo per altri tre. Lo stipendio di un alabardiere è di circa 1.800 franchi svizzeri (1.700 euro), al netto del vitto e dell’alloggio.
Rappresentando il ‘biglietto da visita’ del Pontefice, alle guardie è richiesto un comportamento fermo ma allo stesso tempo diplomatico. Devono essere in grado di riconoscere tutte le personalità religiose e secolari che ogni giorno varcano il Portone di Bronzo, l’ingresso del Vaticano, accordando loro il rispetto e il saluto dovuti all’autorità. Ma devono anche imporre l’altolà con l’alabarda abbassata a tutti i curiosi o sconosciuti che si avvicinano troppo, compreso chi si traveste da cardinale o vescovo nel tentativo di raggirare il controllo.
Al contrario delle altre forze di sicurezza, le Guardie svizzere non possono indossare armi da fuoco mentre svolgono il loro ruolo di protezione nelle liturgie e nelle apparizioni pubbliche del Papa. La prima volta che dovettero indossare un giubbotto antiproiettile fu nel 1994 in occasione della visita di Giovanni Paolo II nella Sarajevo assediata dai cecchini serbi. Il comandante delle Guardie svizzere è tra le primissime persone a incontrare e parlare con il nuovo Papa al termine del conclave. Dopo avergli porto le felicitazioni, accompagna il camerlengo sul balcone che si affaccia su piazza San Pietro dove sarà fatto l’antico annuncio «Habemus papam», comunicando il nome del nuovo Pontefice.
La presenza del comandante è a testimonianza di verità, per verificare che il nome pronunciato sia effettivamente quello scelto dall’eletto. Nel 1998 la cronaca nera fece irruzione nella caserma delle Guardie svizzere. Vennero trovati i corpi senza di vita di Alois Estermann, nominato comandante del Corpo poche ore prima, di sua moglie e del suo vice. L’inchiesta venne chiusa a strettissimo giro: i coniugi erano stati uccisi dal subordinato che poi aveva puntato la pistola contro sé stesso. La rapidità con cui venne chiuso il caso fece molto discutere, tanto che uscirono ipotesi alternative: da una presunta relazione sessuale a tre al possibile ruolo di Estermann come agente della Stasi, sino a una congiura dei nobili svizzeri che, per tradizione, forniscono al Vaticano il comandante delle guardie papali e che quella volta si erano invece visti scalzare. Come andarono realmente i fatti non è dato saperlo: un ulteriore segreto inchiavardato nelle mura leonine.
di Stefano Caliciuri
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